
I pugili sono ribelli di professione. sono autorizzati a esercitare una violenza che ad altri non è concessa. sono autorizzati a essere incivili. E Ali stava semplicemente allargando questo diritto al di fuori del ring. Voleva fare tutto ciò che diceva e rendere ogni sua azione una protesta. Appena ne aveva la possibilità, dichiarava che nessuno lo avrebbe mai addomesticato. Avrebbe combattuto e si sarebbe opposto, lo avrebbe detto e fatto, subito, tutte le volte. Sarebbe stato il campione ribelle dei massimi. Conduceva una vita superficiale, come la maggior parte di noi, costruendosi una carriera da intrattenitore, sperperando i suoi soldi per acquistare più auto di quante ne potesse guidare, eppure un preponderante spirito di ribellione lo stava guidando e forse redimendo. Ecco perché il suo rifiuto di accettare l’arruolamento attirava una tale attenzione e suscitava una simile rabbia, perché tutta la sua esistenza offendeva la maggior parte degli americani bianchi: il colore della sua pelle, la sua linguaccia, la sua religione, e, ora la sua mancanza di patriottismo. Per la prima volta in oltre quarant’anni “The Ring”, la bibbia della boxe, si rifiutò di nominare il pugile dell’anno, spiegando che Ali (nella rivista chiamato ancora Cassius Clay) “non può essere additato come un esempio da seguire per i giovani del paese”.