
I caratteri estetici sono essenzialmente non violenti, non dispotici, ma nel regno delle arti, nella repressiva limitazione del termine “estetico” alla sola “cultura superiore” sublimata, questi caratteri sono separati dalla realtà sociale e dalla pratica in quanto tale. La rivoluzione eliminerebbe questa repressione e recupererebbe i bisogni estetici come forza eversiva in grado di contrastare l’aggressività dominante che ha plasmato l’universo sociale e naturale. Per arrivare alla libertà bisogna saper essere “recettivi”, “passivi”: bisogna saper vedere le cose per quel che sono, saper cogliere la gioia in esse racchiusa, l’energia erotica della natura – energia che attende di essere liberata; anche la natura aspetta la rivoluzione! Questa recettività è essa stessa terreno di creatività e si oppone non alla produttività, ma alla produttività distruttiva. […]
L’arte può esprimere il suo potenziale eversivo solo in quanto arte, col suo linguaggio e le sue immagini, che invalidano la lingua normale, la “prose du monde”. Il “messaggio” liberatorio dell’arte trascende anche gli obiettivi di liberazione effettivamente raggiungibili, proprio come trascende la critica effettiva della società. L’arte rimane legata all’Idea (Schopenhauer), all’universale nel particolare; e poiché è probabile che la tensione tra idea e realtà, tra universale e particolare persista fino all’avvento del paradiso in terra, l’arte deve restare alienazione. Se l’arte, a causa di questa alienazione, non “parla” alle masse, è colpa della società classista che crea e perpetua le masse. Se e quando una società senza classi compisse la trasformazione delle masse in individui “liberamente associati”, l’arte perderebbe il suo carattere elitario, ma non il suo estraniamento dalla società. Infatti la tensione tra affermazione e negazione impedisce qualsiasi identificazione dell’arte con la prassi rivoluzionaria. L’arte non può rappresentare la rivoluzione, può soltanto evocarla in un diverso tramite, in una forma estetica in cui il contenuto politico diventa metapolitico, governato dalla necessità interiore dell’arte. E la meta di ogni rivoluzione – un mondo libero e pacifico – si presenta in un ambito affatto apolitico, soggetta alle leggi della bellezza e dell’armonia.