Santa Olga

Quando la tua scrittrice preferita vince il Nobel (sì, lo sappiamo, il Nobel non è la Bibbia – d’altronde neanche la Bibbia è la Bibbia) la prima reazione è quella, c’è poco da fare.

Per qualche giorno c’è la sbornia, condividi ovunque qualsiasi cosa contenga il nome Olga, chiami tutt* quell* cui l’hai fatta conoscere dicendo “hai visto? hai sentito? che t’avevo detto?”, vai in cerca di qualsiasi dichiarazione, articolo, video.

Pur pensando che Handke è un grande scrittore, un po’ stai con Salman Rushdie quando twitta che il vero Nobel è lei, non quello andato al funerale di Milosevic.

Ti dici che Santa Olga salverà il pianeta, anche se a quanto pare i suoi connazionali non sono proprio sulla sua stessa lunghezza d’onda quando nella tornata elettorale essenziale per la democrazia polacca (parole sue) danno le chiavi in mano a quella cricca di criminali.

Vorresti abitare nella sua città per andare in giro gratis con Casa di giorno, casa di notte sotto braccio, e ti lustri gli occhi col biglietto della sua presentazione de I vagabondi.

Sospiri per gli antispecisti che l’hanno scoperta in questo istante e ovviamente ne approfittano subito per farle le pulci (“ma è solo vegetariana, tuoni e fulmini”) senza aver letto una delle formidabili righe di Guida il tuo carro sulle ossa dei morti.

Poi, la settimana dopo, ecco che si affaccia, inesorabile, lo SDI (Sacro Dubbio Indie):

Era meglio quando la conoscevamo giusto io e quello scelto manipolo di happy few o adesso che tutto il mondo se ne riempie la bocca?

Mi sa che ci devo convivere. W Olga.


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