These are the songs of my life: Jula Edition

Rovistando tra vecchie storie della canzone italiana capita di fare scoperte tardive quanto sorprendenti. Per esempio di Jula de Palma ritenevo al massimo il nome, citato sempre nel mezzo di elenchi di dive o semi-dive d’antan. E invece, andando a soffiar via la polvere, eccoti apparire la meraviglia di una voce, un timbro interpretativo, un’eleganza scenica, dal fascino senza tempo.

Chi la ricorda tende a identificarla con l’affaire sanremese di Tua, scandalo sensuale che poneva fine agli anni delle colombe, dei papaveri e dei fiori. Per il resto, le disavventure di etichetta che hanno quasi cancellato dal catalogo i suoi dischi; il suo essere, per sua stessa ammissione, una cantante da live più che da sala d’incisione; il volontario scomparire dalla scena al traguardo dei 25 anni di carriera, e il conseguente esilio canadese, hanno nel complesso contribuito all’oblio, alla trasformazione in reperto d’epoca.

Eppure, eppure, andate a riascoltarla: e scoprirete un personaggio che pur appartenente alla vecchia generazione ha proposto un tipo di star in anticipo sui tempi; una voce duttile capace di passare senza parere dalla canzone napoletana all’amato jazz, dalla chanson francese agli oldies nostrani; un carattere interpretativo di modernità assoluta, senza i vezzi di più blasonate rivali, ma capace di attingere a profondità precluse ad altre.

Tanto per dire: confrontate la sua versione di Bugiardo e incosciente con quella di riferimento di Mina, e magari vi troverete a preferire quella densa limpidezza ai manierismi della Tigre; verificate – dal mitico recital al Sistina con la big band di Gianni Ferrio – la sfrontatezza dell’assalto ai territori di Ella Fitzgerald; gustate la freschezza con cui gli standard della canzone swingante all’italiana acquistino una freschezza inedita nel suo trattamento; e dite se questo gioiello del sodale Lelio Luttazzi come lo canta lei non è da considerare uno dei misconosciuti classici degli anni Sessanta.


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