EX LIBRIS 332 (tecnici della distruzione)

Primavera

Conosco bene una certa strada, dove il paesaggio naturale è allietato da filari di ontani, viburni, felci dolci e ginepro che, ad ogni stagione, si vestono di nuovi fiori sgargianti, in autunno, mettono in mostra ricchi grappoli di bacche. Non vi era, in essa, alcun traffico intenso e, ad ogni modo, ben poche erano le curve strette o gli incroci in cui i cespugli potessero impedire la visuale agli automobilisti, Ma con l’arrivo degli erbicidi quella strada è diventata un nastro d’asfalto da percorrere in fretta, un panorama da sopportare cercando di non pensare al mondo sterile e brutto che permettiamo che i nostri tecnici ci preparino. Tuttavia, qua e là, le autorità avevano “mancato al loro dovere”, cosicché, nonostante i piani per la completa eliminazione della vegetazione superflua, alcune inesplicabili dimenticanze permisero la sopravvivenza di qualche oasi piena di attrattive – ciò che rende ancora più intollerabile la profanazione perpetrata lungo quasi tutta la nostra rete stradale. In queste isole di verde il mio spirito può ancora rasserenarsi alla vista delle estensioni di bianco trifoglio o delle nubi purpuree di veccia in mezzo alle quali spuntano i rosseggianti calici del Trillium.

Queste piante sono “erbacce” soltanto per coloro che fanno affari vendendo i prodotti chimici, oppure accaparrandosi l’appalto per le disinfestazioni. Negli “Atti” d’uno dei molti congressi sul controllo delle erbe infestanti, che vengono ormai regolarmente organizzati, ho letto una volta uno stupefacente principio filosofico sugli erbicidi. Il suo assertore sosteneva la necessità di distruggere anche le piante utili ” semplicemente perché esse sono in cattiva compagnia”, ed aggiungeva parlando di coloro che si rammaricavano per la scomparsa dei fiori selvatici lungo i bordi delle strade: “Mi ricordano quelli che osteggiavano la vivisezione: per essi, a giudicare dal loro comportamento, la vita d’un cane randagio è più sacra della vita di un bambino.”


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