F.S. L’attuale successo – o forse non così attuale – della letteratura argentina non le pare un po’ “fabbricato”?
J.L.B. Probabilmente ha influito il fatto che ora la letteratura è commerciale mentre prima non lo era. Ossia, il fatto che ora si parli di bestseller, che influisca la moda (cosa che prima non avveniva). Ricordo che, quando iniziai a scrivere, non pensavamo mai al successo o al fallimento di un libro. Quello che ora si chiama successo, a quei tempi non esisteva. E quello che si chiama fallimento, si dava per scontato. Si scriveva per se stessi e, forse, come diceva Stevenson, per un piccolo gruppo di amici. Invece ora si pensa alla vendita; so che ci sono scrittori che annunciano pubblicamente di essere arrivati alla quinta, alla sesta o alla settima edizione, e di aver guadagnato molto: queste cose sarebbero parse del tutto ridicole quando io ero giovane. O, per meglio dire, più che ridicole sarebbero sembrate incredibili. Si sarebbe pensato che uno scrittore che parla di quanto guadagna con i suoi libri, lo faccia come per dire: “Io so che quello che scrivo è brutto, ma lo faccio per ragioni commerciali, o perché devo mantenere la mia famiglia.” Quindi vedo questo atteggiamento quasi come una forma di modestia. O di mera stupidità.