Improvvisamente capii. Così, proprio mentre ero sferzata dal vento, gettata a destra e a sinistra, mi lasciai andare. Lasciai sciogliere i muscoli. La mascella si distese. Lasciai che il vento soffiasse e che la follia fluisse. Mi chinai e mi lasciai colpire, proprio come gli alberi battuti dal vento. Ululai. Risi. Urlai e piansi, gridai e mi arrabbiai. Urlai ancora e protestai e farfugliai. Tutto quello che mi passava per la mente, lo consentivo.
«Quando arriverà il mio momento, morirò con un sorriso», gridai.
Attorno a me, tutto veniva fatto a pezzi. Mi sembrò che la lucidità mi scivolasse tra le dita come una corda che sfugge. E mi arresi.
«Bene. Prenditela. Prenditi la mia vita. La mia lucidità. Prendi tutto.»
Una volta finito l’uragano, mi resi conto che se mi fossi staccata da qualsiasi legame, compreso quello da me stessa, la gente non avrebbe avuto più alcun potere su di me. Se ne sentivano il bisogno, potevano anche prendersi la mia vita, ma io non l’avrei mai più vissuta con paura, come fa troppa gente sconvolta dalla nostra società incoerente. Avrei vissuto la mia vita con la guida di una fonte più elevata, la fonte della Creazione.