Innanzi tutto fatemi dire che mai come in questi ultimi mesi ho rimpianto di non aver studiato botanica all’università, invece che quelle quattro cazzatelle di cinema con Vito. Vi ho mai parlato di Vito? Prima o poi, dai. Oggi invece voglio dirvi quante cose sto imparando leggendo testi di botanica e giardinaggio.
Preferisco i primi, a dire il vero, i libri di giardinaggio sono un po’ come i manuali sullo sport o i ricettari: o lo fai o alla lunga leggere stufa, tutta teoria e zero pratica. Non è divertente. Ma magari prima o poi parliamo pure di quelli.
Invece i trattati di botanica mi divertono parecchio. Si imparano davvero un sacco di cose.
Per esempio le erbacce. Non sono mai stata una fissata con le “erbacce”. Sebbene qui nel borgo ce ne siano a sazietà ed oltre (soprattutto parietaria e ortica, con presenze non trascurabili di Geranium robertianum e Cymbalaria muralis) e tirarle via per dare una parvenza di ordine a cortiletti e stradine sia uno strazio (non sono particolarmente contenta delle disinfestazioni, ma quando inizio a dover tirar via sacchi di parietaria e ortiche mi viene da riconsiderare l’idea) le erbe spontanee mi sono sempre piaciute. Hanno tenacia, e crescono lì dove nessun’altra osa mettere radici. Sono cocciute, più le tiri via più quelle ricrescono. E tra le cose che ho scoperto, diventano invasive solo in terreni compromessi. Insomma, nelle zone antropizzate, dove la presenza umana ha fatto danni al suolo, dove ci sono costruzioni, muri e lastricati.
Stesso discorso per robinie e ailanti. Le robinie, soprattutto, demonizzatissime perché invadono ogni lembo di terra. Beh, non è così. Gli ailanti magari sì, meritano un discorso a parte, ma le robinie colonizzano sempre e solo terreni compromessi. Nei boschi non ci sono, o sono una presenza discreta, certamente non disastrosa come tanti vogliono far credere. Il discorso sulle specie aliene meriterebbe molto più di un posterello dei miei, in effetti, e in effetti entrerebbero in gioco anche gli animali. Personalmente mi stanno pure simpatici, questi nuovi cittadini che cercano un loro spazio, ius soli o meno, sulle “nostre” terre. Pappagalli, nutrie, gabbiani, le robinie in città che ci danno il famoso miele di acacia (che quest’anno è stato poco, l’ho saputo qualche giorno fa, in compenso abbiamo provato il miele di… ailanto, già. È come quello di acacia). Sarebbe diverso se arrivasse qualcosa tipo il kudzu. In quel caso sì, mi preoccuperei un tantino anche io.
E una delle solite obiezioni dei polifagi ai veg? Anche le piante soffrono! Buuh, buuh, insensibili che uccidete le piante. Eh, cari polifagi, noi veg lo sappiamo bene che le piante sono esseri sensibili e intelligenti. Per questo cerchiamo di limitarne l’uso evitando di mangiare altri animali, che vengono nutriti con tonnellate e tonnellate di vegetali, coltivati in terre che prima appartenevano a foreste lussureggianti… ah, ma forse a voi interessa solo della carota morta implasticata del supermercato, sticazzi di alberi, arbusti ed erbe magari nemmeno ancora scoperti… Già.
Tutto sommato poi scopri, man mano che leggi libri, saggi e manuali a riguardo, che le piante sono più di qualsiasi cosa uno possa pensare di loro. Si rafforza alla fine la consapevolezza che loro continueranno. Che forse i sapiens potranno distruggere il 99% della vita sulla terra, come quella che chiamano la madre di tutte le estinzioni, ma ci saranno sempre delle enclavi da cui la vita ripartirà, da cui si evolveranno nuovi pionieri, che ricopriranno di nuovo questa vecchia palla che vaga nello spazio da cinque miliardi di anni. Dopotutto ha ancora un paio di miliardi di anni come aspettativa di vita, grossomodo, e in due miliardi di anni possono succedere tanti cose.
(nb: le foto ovviamente le ho linkate da siti esterni. I libri sono tutti consigliati, soprattutto Mabey e Wohlleben: rimediateli, se non potete comprarli prendeteli in prestito in biblioteca, e leggeteli)
Ps Ah, pure GB si è appassionato a un libro ad argomento botanico: ogni tanto va a prendere L’uomo che piantava gli alberi (edizione illustrata della Salani) e vuole che glielo si legga. Lo prendiamo come un buon auspicio.