In natura, per ogni chilometro quadrato di boscaglia c’è un solo capriolo. Cervi e cinghiali sono ospiti ancora più rari sotto vecchi faggi e querce. […] Per aumentare il numero di capi, si porta nel bosco mangime per la selvaggina e si risparmiano le femmine. E così ora per chilometro quadrato ci sono dai 30 ai 50 caprioli, ai quali si aggiungono dai 10 ai 20 cinghiali nonché, a seconda della stagione, 10 cervi. Tra le 50 e le 100 volte di più di ciò che aveva previsto madre natura. Lupi e linci sono già stati sterminati secoli fa dai cacciatori, o oggi il loro ritorno è ostacolato dall’abbattimento illegale da parte dei bracconieri.
Che questo modo di praticare la caccia assomigli più a un allevamento, lo si può comprendere dando un’occhiata al cibo che si trova nei boschi: alle schiere di cervi affamati vengono offerti mais, avena, mele, avanzi di pane o addirittura cioccolatini scartati dal produttore in fase di controllo di qualità. Persino le mangiatoie di fieno, a prima vista innocue, interferiscono con l’equilibrio naturale e determinano un aumento della selvaggina. Con le quantità di cibo che i cacciatori scaricano nel bosco di potrebbero tranquillamente allevare questi animali nelle stalle. Pubblicamente i cacciatori si uniscono al coro di lamentele sui danni provocati dai cinghiali nei giardini delle case e nei vigneti. Gli accusati di comodo sono i cambiamenti climatici, con gli inverni miti, e le coltivazioni di mais.
Anche caprioli e cervi vengono rimpinzati a dovere, in modo che il loro numero non diminuisca. E lo si capisce dalle statistiche sugli incidenti che coinvolgono la fauna selvatica, in cui restano uccisi più caprioli di quanti dovrebbero essercene in natura.
Questa situazione ha pesanti ripercussioni sugli alberi perché a fine inverno cervi e compari hanno una fame irrefrenabile. Ciò che suona come un paradosso ha una spiegazione scientifica: normalmente gli erbivori nei periodi di freddo pungente vanno in letargo, e in certi casi la temperatura corporea si abbassa addirittura sotto i 20 gradi. Se gli animali vengono nutriti, i processi digestivi la fanno risalire e il tasso metabolico aumenta vertiginosamente. Quindi il mangime stimola la fame: per un capriolo significa che giornalmente deve assumere un chilo e mezzo del cibo che gli piace di più, cioè le gemme delle piante caduche. Sui rami degli alberelli più bassi arriva comodamente e lì trova le gemme apicali, che sono le più grosse e nutrienti. E se il capriolo se le mangia, l’albero ha chiuso.