Forse dovremmo cambiare l’animale a cui paragoniamo le persone stupide e indifese: perché le pecore non sono così male, pare
Così lo stupendo (ironia mode on) sottotitolo di un noto giornale online per un articolo che commenta uno studio sulle pecore.
Quello giusto sarebbe stato:
Forse dovremmo smetterla di snocciolare idiozie speciste: perché gli animali non umani mica stanno lì per farsi insultare da quelli umani
E forse titoli del genere nascono per quel buco nero nel campo visivo di chi vede tutti i problemi tranne quello animale, perfetto contraltare di certi animalisti che vedono solo quello, scollegato da ogni altro. Per fortuna in mezzo ci stanno gli antispecisti che riflettono, che collegano, che hanno un quadro globale delle ingiustizie nel mondo del dominio, vero? Peccato per lo più siano litigiosissimi, sempre impegnati a questionare non solo con le categorie di cui sopra, ma tra di loro peggio ancora.
Noi, nel nostro piccolo, intanto ci limitiamo a ricordare i primi insulti specisti che ci vengono in mente, e che dovrebbero essere cassati per sempre dai modi di dire inveterati e incistati nel linguaggio quotidiano:
pecorone, asino, coniglio, capra/caprone, squalo, sciacallo, iena, cane/cagna, oca, gallina, gufo, scimmia (in tutte le sue varie declinazioni), topo di fogna, corvo, civetta, avvoltoio, tordo, pappagallo, maiale/porco, vacca, scarafaggio, zecca, verme, serpe, vipera, branco… (continuate voi)
2 risposte a "Ecologia del linguaggio"