Nel ’69, l’anno delle agitazioni studentesche, avevo fondato nel mio liceo un partito, LSD, Lega Studenti Democratici, con tanto di volantini e programma politico. Come al solito venni completamente frainteso e mi ritrovai all’opposizione del movimento studentesco. Io predicavo con grande successo, specialmente tra le ragazze, l’allargamento della coscienza. Vivevo in un impunito e impunibile delirio di onnipotenza, perché sin d’allora predicavo il non attaccamento. Mi sentivo più uno strumento che un soggetto. Il mio misticismo profetico mi rendeva un facile bersaglio. Una volta al Teatro Nazionale di Milano, durante un concerto per la raccolta di fondi per “Re Nudo”, cantavo una canzone che diceva più o meno: “Ma voi credete davvero di cambiare il mondo con il pugno chiuso, quando non sapete cosa potreste dare aprendo la vostra mano” e questo scatenò una rissa tra le due anime della rivista, quella mistica e quella politica, una vera rissa con tanto di sedie divelte. Una situazione simile si scatenò al Pierlombardo, durante un concerto per il Cile, nel momento drammatico del colpo di stato di Pinochet, certo non potevo fare a meno con il cuore e con l’intelligenza di seguire quelle vicende ma non riuscivo a capire come dei milanesi potessero essere tanto coinvolti emotivamente da una cosa tanto lontana: stavano vivendo un’allucinazione collettiva, si sentivano a Santiago, tutto era ridicolmente sfasato rispetto al “qui e adesso”. Amavo fare predicozzi e non potei fare a meno di far presente ai ragazzi che non eravamo in Cile, di tornare con i piedi per terra e la cosa come al solito provocò una burrasca. Questa presunta scissione ideologica tra una presunta psichedelia di destra e un presunto movimento di sinistra, molte volte la ributtavo in faccia agli amici incazzati di sinistra, della cosiddetta “altra parte” che mi apparivano assolutamente fascisti nei modi e nelle attitudini, nelle relazioni della vita di tutti i giorni. Io mi consideravo evangelicamente e comunitariamente di “sinistra” nella mia ricerca personale, che era la stessa di molte altre persone e che faceva sul serio con la coscienza e non con l’esteriorità, con le proiezioni.