Al coro di chi ritiene che sia l’umanità a mettere a repentaglio la vita delle api, Luigi aggiunge una postilla non da poco: «L’apicoltore inconsapevole è quello che fa più danni. La coscienza ambientalista nella comunità apistica è risibile e purtroppo a molti apicoltori manca una visione organica. L’apicoltura è l’attività ecocompatibile per eccellenza, la scelta dell’apicoltore dovrebbero essere conseguenti. Per questo motivo come associazione Apiresos, di cui fanno parte non solo apicoltrici e apicoltori di tutta l’Isola, ci siamo concentrati molto sulla formazione. Siamo convinti che l’apprendimento sul campo sia il più efficace, aprire un alveare vale più di mille slides. Il mestiere lo si impara da chi lo sa fare. Soprattutto bisogna proporre agli allievi all’inizio di ogni corso di formazione 5/10 minuti di demotivazione, che altro non sono se non l’applicazione di una visione dell’apicoltura improntata a un sobrio realismo. Fare apicoltura oggi è difficilissimo; non è come quando abbiamo iniziato decenni fa, ossia prima della varroa, dei pesticidi, del buco dell’ozono e di tutto quello che sappiamo. Bisogna essere preparati, rispondere con rigore metodologico alle sfide, ai problemi che connotano l’apicoltura di oggi. Bisogna affrancarsi dalle soluzioni facili, a portata di mano, come quelle provenienti dal web o peggio dall’universo di balbuzie dei social network, che spesso altro non sono che frammenti inconsulti di irrazionalità».
Faccio notare che non è proprio uno scenario roseo: «Tutt’altro, – ribatte Luigi – c’è un lavoro straordinario da fare, si tratta solo di avere e consolidare una visione problematica dell’universo apistico, perché, lo ribadisco, l’apicoltura è pratica complessa che richiede il possesso di competenze molteplici, acquisibili solo dopo lunga e a volte sofferta esperienza. Gramsci proponeva un duplice approccio: pessimismo della ragione e ottimismo della volontà. Credo sia l’unico praticabile, affinché dall’età del possesso si passi a quella della condivisione».