Ho sognato che, al posto di GB, avevamo una bambina. Invece di Emilia, volevamo chiamarla Lavinia. Solo che quando la vedevo dicevo: “No, Lavinia non è adatto, ha l’ovale allungato, dev’essere per forza un nome con la V”. E Vale: “Un’altra Valentina no, per carità, già ci sono io e odio il mio nome”. Al che io: “Chiamiamola Velouria.”
(La questione dei nomi è interessante. In realtà il primo nome femminile che avevamo in lista, in tempi non sospetti, era Ginevra. Bello, ma nel frattempo sono nate una pletora di Ginevre, e ci è passata la voglia. Quindi, per rimanere in ambito geografico, eccoci deviare su Emilia. Certo, se alla fine ne avessimo fatti due, per restare all’altezza di GIORDANO BRUNO, EMILIA avrebbe dovuto quanto meno essere PARANOICA.)
Poi lei cresceva, ma con in mezzo delle ellissi pazzesche, per cui mi perdevo dei bei pezzi, e protestavo: “Ma come, sei già così grande, volevo vedere il progresso, passi di bimba, invece tutto di botto, già vai a scuola”. Ed eccomi pure io alla sua scuola, e davanti incontravo frotte di ragazzini che cantavano canzoni di Venditti, e facevo: “Ma come, queste le cantavamo ai nostri tempi, possibile che siamo ancora lì?”
(Sì, davvero, non posso negarlo, Cuore è stato uno degli album della mia pischellezza, rivaleggiava con Eden e Diamond Life, ne cito ancora brani a memoria con grande scorno di Vale che oltre al proprio nome odia pure Antonellone, epperò, che i bambini del futuro non si scollino dai quattro ragazzi con la chitarra e un pianoforte sull’erculea spalla inquietà anzichenò.)
Velouria era in corridoio, controllava chi entrava e usciva. Io entravo in classe e mi sedevo sulla sediolina, con gli altri alunni, quarant’anni più giovani. La lezione iniziava.