Il 19 continua la sua rotta. Il tram è meglio dell’autobus. Questo fatto di avere il cammino segnato, obbligato, vorrà pure dire qualcosa che ha a che fare con la mia vita, con la vita di tutti noi. Mi sento fratello di tutta la gente che è insieme a me su questo doppio vagone snodato. Anche il loro cammino è segnato. Stanno tutti andando a qualche fermata. Obbediscono. Se immagino la vita all’acceleratore, è tutto un frenetico andare e tornare, salire e smontare, ridisegnando gli stessi fili, gli stessi tragitti. Ecco la ragione per cui sto prendendo questo benedetto tram tante volte: vorrei essere fedele a qualcosa. Insistere, ripetere un gesto, accettare il cammino come fosse il mio, quella strada era lì per me, devo solo percorrerla serenamente. Sembra abbastanza facile. Ma per impazienza perdiamo la strada e per impazienza non sappiamo ritrovarla. Non c’è altro peccato, dice Kafka, che questa impazienza. Prego Kafka di perdonarmi, io lo perdonerei se lui fosse me. Chiedo perdono a tutti con gli occhi e la mente, non con la bocca. Sono sul 19 e sto chiedendo perdono e prego Franz Kafka nel nome di un’umanità che faccio fatica a condividere, perché il pezzo di pane non lo vorrei spezzare ma vorrei tenerlo tutto per me, anzi no, non ho fame, mi è passata tutta la fame, mangiatevelo voi. E andatevene affanculo tutti, col vostro tram del cazzo.