Più vicino, accanto alle colonne esterne che sorreggevano il tetto della casa del mercato, nugoli di bambini giocavano a lamp-loo e a tutball, forme primitive del gioco dell’acchiapparsi e del baseball. I moderni fanatici di questo secondo gioco si scandalizzerebbero vedendo che qui era prevalentemente praticato dalle ragazze (e forse anche apprendendo che il premio tradizionale per le più brave non era un contratto da un milione di dollari, ma un budino all’anice). Un gruppo di ragazzi più anziani, comprendente anche qualche adulto, muniti di pesanti e nodosi rami d’agrifoglio e di biancospino, li lanciavano a turno contro una bizzarra e cenciosa figura di panno rosso imbottito, appoggiata ai piedi del muro della casa del mercato. Per i viaggiatori era uno spettacolo abituale, era l’allenamento per l’antico, nobile e diffusissimo sport inglese che si sarebbe praticato l’indomani: il gioco dei galli, che consisteva nel massacrare galli lanciando contro di loro bastoni appesantiti. Per tradizione lo si giocava soprattutto a Carnevale, ma nel Devon era popolare quanto i combattimenti di galli tra la gentry, e lo si praticava in tutte le feste. Tra non molte ore si sarebbe visto un gruppo d’uccelli legati al posto del rosso fantoccio imbottito, e sangue sulle selci. Nel suo comportamento crudele con gli animali l’uomo del Settecento era un vero cristiano. Non era forse stato un gallo blasfemo a cantare tre volte, rallegrandosi perché Pietro aveva rinnegato il Signore? Cosa poteva dunque esserci di più virtuoso che colpire a morte i suoi discendenti?