Giunsi sotto alla fontana, nella conca di erbe grasse e fangose. Tra le piante apparivano buchi di cielo e aerei versanti. C’era in quel fresco un odore schiumoso, quasi salmastro. «Cos’importa la guerra, cos’importa il sangue, – pensavo, – con questo cielo tra le piante?» Si poteva arrivare correndo, buttarsi nell’erba, giocare alla caccia e agli agguati. Così vivevano le bisce, le lepri, i ragazzi. La guerra finiva domani. Tutto tornava come prima. Tornavano la pace, i vecchi giochi, i rancori. Il sangue sparso era assorbito dalla terra. Le città respiravano. Soltanto nei boschi nulla mutava, e dove un corpo era caduto riaffioravano radici.