Al di là del bordo sedicente umano, al di là di questo ma non su un unico bordo opposto, al di là de “L’Animale” o de “La-Vita-Animale” è presente, già qui, una molteplicità eterogenea di viventi, più precisamente (perché dire “viventi” è dire troppo o troppo poco) una molteplicità di organizzazioni di rapporti tra il vivente e la morte, rapporti di organizzazione e non-organizzazione di rapporti tra regni che è sempre più difficile scindere nelle figure dell’organico e dell’inorganico, delle vita e/o della morte. Questi rapporti, che sono nello stesso tempo intimi e abissali, non sono mai totalmente oggettivabili. Non si definiscono in alcun modo con la semplice esteriorità ed estraneità di un termine rispetto all’altro. Ne consegue che non è mai possibile ritenere gli animali come specie di un genere da chiamare Animale, l’animale in generale. Ogni volta che “si” dice “L’Animale”, ogni volta che il filosofo, o chiunque altro, dice al singolare e senza aggiungere altro “L’Animale”, pretendendo così di indicare ogni essere vivente tranne l’uomo (l’uomo come “animal rationale”, l’uomo come animale politico, come animale parlante, zoon logon echon, l’uomo che dice “io” e si considera come il soggetto della frase che pronuncia sull’animale, ecc.), ebbene, ogni volta, il soggetto di tale frase, quel “si”, quell'”io” dice una stupidaggine. Egli ammette senza ammetterlo, dichiara, come una malattia viene annunciata da un sintomo da diagnosticare, un “io dico una stupidaggine”. E questo “io dico una stupidaggine” viene a confermare non solo l’animalità che egli nega, ma anche la sua partecipazione attiva, continua e organizzata a una vera e propria guerra delle specie.