Ex Libris 233 (Italiani brava gente. E anche un po’ cialtroni. Sicuramente smemorati. Forse da sempre fascisti. Anche oggi.)

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Tecnicamente l’operazione di smontare i blocchi come tanti tappi di champagne era difficilissima, ma era l’unica che avrebbe potuto sortire qualche risultato.

Inoltre c’era l’incubo pioggia ad impedire sonni tranquilli all’ingegnere e alla sua equipe. Comunque era stato deciso che pioggia o non pioggia la stele sarebbe stata smontata. Non si poteva correre il rischio, e i tecnici non volevano ritardare oltre, di rimandare un’operazione tanto delicata.

Sotto la stele quella sera del 7 novembre 2003 erano assiepati giornalisti, una nutrita delegazione etiope e dei passanti incuriositi da quella piccola folla che si era concentrata nei dintorni. Tutti con il naso all’insù, chi puntava le telecamere e chi, come gli etiopi, cantava inni patriottici. La stele, pezzo per pezzo, come se fosse un edificio Lego, spariva dallo spazio visivo di Roma.

I tecnici erano nervosi, con il fiato sospeso. La paura di fallire era grande. Nei video che ci sono arrivati di quella giornata possiamo vederli muoversi a scatti, gli occhi preoccupati sotto l’elmetto. Gli etiopi invece erano sorridenti, con i loro gridolini di gioia e il loro orgoglio di patria.

Per fortuna tutto finì bene.

I tecnici tirarono un sospiro di sollievo. E i blocchi della stele furono trasportati su un camioncino che portava, non a caso, una targa con su scritto «trasporti speciali».

Solo Vittorio Sgarbi borbottava:

È un delitto smontare l’obelisco e portarlo via in un paese dove non verrà rimontato e resterà per altri cinquant’anni chiuso in un magazzino.

Vittorio Sgarbi era di fatto in aperto contrasto con la decisione del Consiglio dei ministri. Ci furono raccolte di firme, polemiche, scontri verbali abbastanza cruenti.

E in effetti c’è da dire che la stele finì in un magazzino. Ma non in un magazzino etiope come pensava Sgarbi, ma in un magazzino italiano.

Infatti dal momento dello smontaggio a quello dell’effettiva restituzione all’Etiopia passarono anni. La stele rimase dimenticata, coperta da una tela incerata, nel cortile della caserma di Polizia di Ponte Galeria.


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