Come eravamo: Un vecchio spunto di Vale

Vale e gli ascensori, con un pensiero devoto ad Harlan Ellison.

È tutto in ordine, revisione appena fatta, inutile cadere in uno dei topos più abusati del fantastico.
L’ascensore che decapita la vecchia in Profondo rosso, l’ascensore invecchiato e pericolante di Ubik,  quelle gabbie metalliche che invariabilmente ti trascinano fino al piano che sta sotto le cantine…
Entri, per salire al tuo appartamento, lo hai fatto centinaia di volte, ma no, migliaia, anche se il dottore dice che faresti bene ad andare a piedi, il tuo cuore ringrazierebbe.
Entri, e cosa vedi… Il cubicolo dalle plasticose pareti avana sporco, il lurido linoleum sul pavimento, scollato agli angoli, lo specchio che quello del terzo piano ha rotto a metà, ed ora la tua faccia somiglia ad un Picasso Gotham City style, metà faccia sorride, l’altra metà ghigna malefica.
Guardi troppi film dell’orrore, pensi.
Premi il pulsante del tuo piano, quinto, hai voluto il piano più alto di tutti per non avere seccature se non dal cielo. E trattieni il respiro ogni volta, fino a quando le porte, con un sussulto, si aprono sul tuo pianerottolo.
Ma oggi, appena tiri il fiato, ti accorgi che qualcosa non va. Che la porta di fronte a te non sia del tutto giusta, e che forse, oggi, hai trattenuto il fiato più a lungo del solito.


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