Prosciugamenti/Ipertrofie

Una volta, con l’inconscienza della gioventù, volevo scrivere un trattato in cui dividevo il mondo tra poeti dell’accumulo e della sottrazione. Doveva chiamarsi Prosciugamenti/Ipertrofie. L’eccesso, l’opulenza, il parossismo, l’iperbole, la dismisura, il pieno, la molteplicità, lo scialo, lo spreco, l’orpello, la ricchezza, il sovraccarico, la bulimia, la saturazione, l’esasperazione, il dannunzianesimo vs la semplicità, l’austerità, la frugalità, l’asciuttezza, la sobrietà, la depurazione, la concentrazione, l’essenzialità, il vuoto, la castità, la nudità, l’esattezza, l’ascetismo, la spoliazione, la povertà, la rinuncia, il francescanesimo.

Col tempo ho capito che dicotomizzare, polarizzare, è un vizio invincibile del pensiero occidentale in cui è meglio non cadere: alla fine, ogni accumulo è fatto di sottrazioni, e viceversa: Von Sternberg viveva in una villa di Richard Neutra; a Borges basta una pagina per dare il senso del tutto.

Eppure all’epoca mi affascinavano le contrapposizioni frontali tra chi vuole mimare la complessità nella forma, e chi vuole stilizzarla: i grappoli di note di Liszt e le distillate armonie di Satie; le architetture onnicomprensive di Mahler e i lacerti dispersi di Webern; i panneggi furibondi di Bernini e le forme trasfigurate di Brancusi; le stesure selvagge di Pollock e quelle trasfigurate Rohkto; l’aggiungere ipervisibilista di Welles e il togliere certosino di Bresson, coi suoi piani dal ginocchio in giù; la cinesi infinita di Ophüls e l’immobilità di Ozu; la produttività inesausta di Rossellini e l’austerità testamentaria di Dreyer. L’uomo invisibile vs la cosa. Un pieno rosa di fenicotteri, un vuoto da monocromo bianco.

Beckett:
Compresi allora che Joyce era andato il più avanti possibile nella direzione della conoscenza per mezzo del controllo sulla propria materia. Faceva delle addizioni progressive, basta guardare i manoscritti per capirlo. La mia via consisteva invece nell’impoverimento, nella mancanza di conoscenza e nel togliere, nella sottrazione piuttosto che nell’addizione.

Brancusi:
La semplificazione non è un fine: nasce spontaneamente quando si cerca di fare qualcosa di reale, qualcosa che vada oltre la superficie apparente e che mostri ciò che essa ci nasconde.


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