Caro GB

Caro GB,

Anche io dunque come ogni intellettuale (io non pensavo di essere una intellettuale, finché qualcuno non mi ha detto di togliere un “more uxorio” da un romanzo, perché “il lettore non capisce”… Quindi sì, facciamo che sono un’intellettuale e amen) che si rispetti quando mette al mondo la sua prole, ho deciso di scriverti una lettera. Tanto perché ieri si diceva di che posto ti troverai a vivere, una volta uscito (se va tutto bene) da là dentro, dove te la spassi a mangiabere quel che ti passo, origliare quel che succede fuori e scalciare (oltre a sedermiti bello pacioso sulla vescica, non dimentichiamolo).

Oh, intendiamoci: ci sono posti molto più brutti in cui nascere. Tipo a fianco di Kayembe, il bimbo simbolico e realissimo dello spot di Medici senza frontiere, lì dove le multinazionali continuano a rubare anche la polvere con la connivenza criminale dei politici, oppure in posticini ameni come Afghanistan o India, in cui avresti altri quattro o cinque o dieci fratelli di cui probabilmente uno o la metà o tutti frutto di stupri. O su una di quelle isole negli arcipelaghi che rischiano di rimanere sommerse da oggi a domani, anzi, no che non rischiano, è il loro destino, bisogna solo scoprire quanto in fretta gli Oceani, su istigazione dell’inquinamento globale se le mangeranno. Quelli in genere sono posti bellissimi, la gente di qui ci va in vacanza, almeno fino a che stanno a galla, poi chi se ne frega.

Ma per questo discorso occorrerebbe una lettera a sé, e io non sono abbastanza intellettuale, o per lo meno, riconosciuta tale, per fare lo sforzo di scrivere, a te, un intero libro di lamentazioni, o al contrario di parole alate sulla bellezza e il rispetto (ma ci saranno anche quelle, anche se magari non tanto alate). C’è chi lo fa, e di solito sono nomi noti, o magari persone che hanno davvero qualcosa di importante da dire, mica no. In questa lettera tralascerò anche la questione dei diritti degli animali non umani, ma per quello abbiamo già un bel libro pronto, anche quelle sono lettere a un ragazzino, da parte di suo padre, amico nostro.

Parliamo di questo posto particolare, allora, che da un po’ di tempo si chiama Italia. Questo posto che non è il più tremendo del mondo, ma rischia di esserlo, nell’emisfero  occidentale almeno, se non stiamo attenti, se proseguiamo su questa china. Parliamo di cosa ti diranno a scuola, se la scuola ci sarà ancora, se ci andrai, a scuola, non è mica detto. Ti diranno che questo è il paese dell’arte, della cultura, delle tradizioni e della natura, qualcosa del genere. Cazzate, scusa la franchezza. Innanzitutto il tempo verbale è sbagliato. Questo “era” il paese della cultura. Era il paese dell’arte, e fra un po’ diremo “era” il paese della natura e della buona cucina. Il perché è semplice: lo stanno distruggendo. E se ti dicessi che noi italiani siamo scontenti di questa distruzione, che lottiamo per evitarla, beh, ti starei dicendo una bugia. Gli italiani non sono scontenti di questo, per la maggior parte, per lo meno. Sono scontenti di tante cose, fanno quasi a gara a chi è scontento più forte, ma non della distruzione sistematica del territorio, della costruzione indiscriminata di roba allo stato attuale per lo più inutile come palazzine, capannoni, gallerie, non sono scontenti neanche che gli venga distrutto il paesaggio che è casa loro per poche gocce di petrolio che contribuirà a fare andare il pianeta un altro po’ verso il baratro. Sono scontenti del fatto di non essere al posto di quelli che stanno combinando tutto ciò, di cui ti risparmio i nomi, spero che quando sarai abbastanza grande da interessarti a queste cose siano solo uno sgradito ricordo, anche se temo qualcuno te lo dovrai sorbire pure te.

Caro Giordano mio, si diceva della politica, e devo confessarti una cosa: la classe politica non è altro che lo specchio di chi li vota, dell’elettorato, ergo della maggioranza del paese. Se stiamo messi come stiamo (ci arriverò) è perché chi ha votato questi politici è esattamente (o vorrebbe essere) come loro. Sono (siamo) in pochi a (cercare di) resistere. Pochi a crederci ancora, e tanti di quei pochi si sono rotti, sono stanchi di combattere e vedere frustrato ogni tentativo, vanificato ogni risultato, ne hanno abbastanza di vedere che per ogni passo avanti il paese viene ritrascinato indietro dieci volte tanto, quindi decidono di andarsene.

Chi resta qui, che può fare? Può costruirsi il suo piccolo angolino di bellezza, perché solo la bellezza ti permette di andare avanti senza abbandonarsi ai pensieri suicidi, in un paese in cui chi ti ha preceduto aveva conquistato un po’ di diritti, e questi diritti – puf – non ci sono più, barattati in cambio di robe incredibili (nel senso che chiunque abbia un po’ di sale in zucca stenterebbe a crederci) come “crescita”, “pil” “salviamo le banche111!1!!1”, in un paese in cui non c’è lavoro, e se c’è è talmente tassato da farti pensare che forse è meglio starsene a fare la disoccupata in casa, almeno ho tempo per scrivere, ma no, ci sono le bollette da pagare quindi non puoi startene a casa, sai Giordano che questi vogliono soldi anche da chi non li ha, tipo da tua madre?

E poi mi chiedono perché abbia diminuito le scritture, perché non creda più in niente. Se certi giorni tutto quello che voglio fare è non fare più niente, letteralmente, a parte annaffiare le petunie e cambiare le lettiere ai gatti. Come si sopravvive in un mondo simile? Io non sono abituata ad arrangiarmi, ragazzo, mea culpa. Sono cresciuta in un mondo che prevedeva alcune certezze, come poter fare un figlio senza dovermi chiedere se il mondo esisterà ancora il giorno in cui non ci sarò più io al suo fianco (lo so che già in un film di 20 prima che nascessi si dicevano le stesse cose, ma bisogna sbatterci il muso di persona per crederci). O che una volta laureata avrei trovato un lavoro migliore che pulire il cesso in una infima tabaccheriola (no, una volta laureata non ho potuto fare più nemmeno quello, tranquillo).

L’unico modo per sopravvivere, quindi, sempre e comunque, è costruirsi pezzetto per pezzetto questa piccola bellezza privata, ma stando attenti, ché la gente se se ne accorge tenterà in utti i modi di distruggerla. Già, perché questo, oltre che essere il paese dell’ex cultura ecc., è anche il paese dei bulli, a tutti i livelli. Quindi chiudi il tuo pezzetto di bellezza con alte mura, se riesci. E tieni fuori tutti.

Sai, io non volevo fare un figlio. Non fraintendermi, non vuol dire che non ti voglia. Ma come si fa a pensare di fare un figlio in queste condizioni? Non ho nemmeno il pensiero consolante del futuro. Che tu e quelli della tua età sarete diversi, che lotterete per un mondo migliore, per un’Italia migliore. Dicevano la stessa cosa di noi, e guarda: il Renzusconcino (non ce l’ho fatta, l’ho nominato) ha grossomodo l’età mia, e dice le stesse cose del bucetto che lo ha preceduto (con accento toscano, che è ancora peggio perché lo percepisci subito che ti sta prendendo per il culo). Perché non è questione di età il rinnovamento, ma di educazione e cultura. Ricordi, il discorso sulla cultura? Potremmo fare un giochino, mettere una carta dell’Italia al muro e tirare una freccetta. Qualsiasi punto becchi puoi trovarci, proprio lì o nei dintorni, un motivo per proteggere quel posto. Un monumento, un albero secolare, una specie rara, uno scorcio unico, un frutto che matura particolarmente bene. O meglio: potevi, perché non è detto ci sia ancora. L’Italia potrebbe mettersi – come si soleva dire un tempo – in panciolle, da subito. Con quello che ha (aveva) poteva agiatamente campare di quello. Arte, natura, cultura. No, ha voluto l’industrializzazione coatta, con tutto ciò che è seguito. Ci sarebbe da ridere, se non fosse per il piccolo particolare che io, caro ragazzo mio, e quindi anche tu, ci siamo intrappolati dentro, invischiati come zanzare nell’ambra. E allora, nonostante tutto, proviamo ancora a crederci, a investire nel futuro, che sei tu, e la tua prole, se ne avrai. Italia nostra, benché il parlare sia inutile, per parafrasare il sommo poeta (che poi ti leggeremo), continuiamo a parlare e a fare e a proteggere quei lembi di bellezza che danno un senso all’essere qui, allo scrivere, al fare figli, al piantare semi, al lottare contro le evidenze.

Benvenuto, quando (e se) arriverai.


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