Osserviamo da tempo come in rete fioriscano che è un piacere pagine anticomplottistiche. Lì per lì parrebbe una buona notizia, no?: con tutte le stupidaggini che si leggono in giro, qualcun* che si mette lì a smontarle fa un buon servizio all’umanità, con soddisfazione di tutt*.
Poi a guardar meglio ti accorgi, per esempio, che certe pagine uniscono l’intento a uno spiccato spirito antiveg, e nascono cose tipo Le cazzate dei vegetariani, di cui evitiamo di mettere il link, ché pubblicizzare troppo tali figuri non è bello. Ora, per l’ennesima volta, che certi veg, animalisti & Co. siano un bersaglio facile, e forniscano abbondante materiale per il dileggio, lo sappiamo bene, e non perdiamo occasione per stigmatizzare il deprecabile andazzo. Però, insieme, non fa piacere che persone intelligenti e solitamente di ampie vedute condividano contenuti da luoghi del genere, altamente tossici: perché, per dire, pur se noi stiamo sempre a criticare il partito bestemmia (PD per gli amici), non lo facciamo certo condividendo status di Salvini, e che diamine, dato che facendo ciò ci renderemmo complici di un discorso e di una visione politica costruite sull’intolleranza, il razzismo, il populismo più bieco, e su questo siamo tutt* d’accordo, suppongo.
Ecco, a noi pare che questa concentrazione di energie culturali sul debunkeraggio, partendo dai suddetti buoni propositi, finisca per appiattirsi in un atteggiamento mentale di collusione, di perpetuazione dello status quo, pericolosa quanto il complottismo un tanto al chilo, visto che tendenzialmente i professionisti del debunking sfatano quello che pare a loro, e accettano supinamente costrutti ideologici altrettanto discutibili, basta che abbiano un’origine “ufficiale”. Per sintetizzare, è facile e scontato attaccare i deliri sulle scie chimiche o gli sfoghi animalisti più basici e rifuggire invece dal confronto con le radicali critiche alla società in cui siamo immersi che la controinformazione o il pensiero antispecista propongono. No, grazie.
Perché, lo diceva Horkheimer, chi non vuol parlare del capitalismo dovrebbe tacere anche sul fascismo, e lo schema tende a ripetersi pericolosamente pur mutando le questioni in gioco. E se c’è una cosa che non vogliamo è finire schiacciati nello spazio angusto tra queste polarizzazioni sterili, sprecare gli anni migliori a schivare il lancio incrociato di bufale (che poi sarebbe bene ricominciare a chiamare panzane) mentre ci nascondiamo dalla contraerea debunkante, bensì, attività di sicuro più utili al mondo, aprire nuovi orizzonti, scoprire nuovi paradigmi, immaginare nuove possibilità.