La scelta della Ortese, soprattutto dagli anni Sessanta in poi, di scrivere «in una lingua con dei segreti», la lingua dell’Iguana e del Porto di Toledo, ha significato per lei incomprensione, silenzio, emarginazione. […] Nel ripercorrere il proprio itinerario esistenziale, segnato dalla fatica della ricerca espressiva, la stessa Ortese ha osservato: «Ma cos’è questo problema tanto forte da gareggiare per quaranta, cinquant’anni con lo stesso problema della sopravvivenza? Io mi considero un eterno naufrago dell’espressione e dell’espressività che hanno per scopo questo interesse: cogliere e fissare, sia pure il tempo di un istante, il meraviglioso fenomeno del vivere e del sentire e riuscire a rendere tutto ciò che nella vita è fenomeno e stranezza».