È un peccato che la sua arguzia emerga di rado dai suoi versi. Negli anni dell’università, intratteneva i suoi accoliti con brevi scritti satirici in cui rinarrava gli avvenimenti contemporanei come se fossero drammi storici nello stile di Victor Hugo. W.H. Mallock, un suo compagno, ne rammenta uno in cui la regina Vittoria restava coinvolta in un convegno amoroso tra i politici Lord John Russell e Sir Robert Peel. Forse fu durante la stesura di quella commedia che Swinburne compose anche l’angustiata confessione in cui la sovrana rivelava di essere stata sedotta da un William Wordsworth attempato.
Più tardi, in questo varietà dell’alta società vittoriana, l’attenzione si sposta sulla figlia illegittima della regina e di Lord Russell, che diviene una cortigiana con lo pseudonimo di «signorina Kitty» e ammalia vari principi e uomini di Stato. «Avrà anche fatto tutto ciò che avrebbe potuto far arrossire una Messalina, ma ogni volta che guardava il cielo, mormorava: “Dio”, e ogni volta che guardava un fiore, mormorava: “Madre”» osserva uno dei suoi corteggiatori.
Dopo il racconto, aggiunge Mallock, Swinburne inghiottì un altro bicchiere di porto e sprofondò nel sonno dell’ebbrezza.
Puerile, sì, e in certa misura semplicemente sciocco. Ma se Swinburne avesse rinunciato ai goccetti e ai bicchierini troppo frequenti, e avesse buttato giù queste burle in manoscritti destinati ai suoi amici, forse lo ricorderemmo come il precursore della commedia alternativa e dell’irriverenza satirica degli anni Sessanta del Novecento, anziché come un poeta minore, strambo e del tutto trascurabile, degli anni Sessanta dell’Ottocento.