William Wilson si imbatte nel suo fatale Altro a scuola, Locke in un albergo africano. Robert Klein lo scopre leggendo il giornale, Tertuliano Máximo Afonso guardando una commediola portoghese in vhs. Weronika/Véronique si incontra in una piazza di Cracovia. Io l’altra sera in metropolitana, linea A. Salgo a Flaminio, il solito carnaio, un vagone di gente schiacciata l’una sull’altra. Si chiudono le porte, mi volto, vedo un compagno di sventura che mi sorride come per dire “cosa tocca sopportare in questa città, eh?, portiamo pazienza”. Ed ecco il tuffo al cuore, perché a un’occhiata veloce il co-passeggero mi assomiglia in maniera inquietante. Pelato, ovvio, con occhiali del genere mio, la forma della testa è simile nel suo ovale allungato, l’età più o meno quella, pur se trovo sempre difficoltà nell’individuarla. Niente, ho dovuto deviare lo sguardo, forse proprio perché ho letto troppi racconti gotici sui doppelgänger, e il vagone ha assunto di botto un’apparenza unheimlich. Poi ho avuto il coraggio di riguardare l’Altro, che non pareva per nulla inquieto, come forse dovevo apparirgli io. Mi rivolgeva ogni tanto lo sguardo, senza particolare intenzione, come avrebbe fatto con chiunque altro sventurato stretto con lui in attesa della fermata giusta. Con calma, ho constatato che la somiglianza non era così estrema: quella fossetta sul mento era tutt’altro che borriana, e altri dettagli sparsi del viso dirimevano la possibile gemellarità oscura. Insomma, alla fine ho realizzato che non ci sarebbero stati duelli alla Wilson o scambi d’identità alla Locke/Klein (o Fracchia). Eppure quel momento di epifania penso lo ricorderò a lungo con strana, intensa emozione.