Ammiro gli esperti, ma non li invidio.
A una certa età si prende atto, ci si rassegna. Lo specialismo non è la mia strada, e ormai da tempo ho assorbito il rimpianto di non potere – costituzionalmente – diventare esperta di niente, sia cinema estremorientale o letteratura fantastica, serie tv o post-rock. Non è che mi appassiono sempre a cose diverse, patologicamente, come il rospo di Wind in the Willows, questo no. Alla fine sono fedele, torno ai miei amori, con costanza e devozione. Ma devo fare i conti con un certo talento per la curiosità, con un’innata tendenza all’approccio sincretistico, alla visione olistica, una forma mentis che inevitabilmente va a cozzare con la specializzazione nella scienza o nella cultura, quel particolare strabismo per cui la parte prende il posto del tutto.
Direi di sapere abbastanza in una teoria piuttosto ampia di campi dello scibile, senza esaurirne propriamente alcuno. Ci sarà sempre chi ne saprà più di me, di fumetti o di teatro, però mi accorgo anche che spesso chi si addentra con spirito accademico o geekistico in certi argomenti, su altri è del tutto all’oscuro, laddove io magari non saprò tutto su una determinata zona, ma mi ci oriento abbastanza bene. C’è anche da considerare che la mia stella polare è la bellezza, e questo porta ad appassionarmi alle forme molteplici in cui la bellezza stessa si manifesta. Potrò allora, in periodi diversi, approfondire un particolare regno: dall’universo holmesiano in adolescenza al cinema di Hong Kong appena scoperto negli anni 90, dagli sceneggiati esoterici della Rai qualche anno fa alla scena neofadista adesso.
Quel che mi manca, in definitiva, è la certa dose di fissazione che deve caratterizzare l’esperto, ufficiale o dilettante, colui che va oltre la passione, verso l’ossessione, e vuole (deve) esplorare fino all’ultimo micron la sua area di ricerca, succhiandone progressivamente ogni succo, come certe vespe che si dedicano a un solo tipo di orchidea, mentre io salto di stelo in stelo. Il premio è in un’apertura alare di pensiero, che abbraccia mondi e ambiti di azione e pensiero preclusi (nel reciproco interscambio) a molti altri. Mi consolo con Roger Caillois, laddove così chiosa: “Gli eruditi, che la sanno lunga ma solo in un ambito circoscritto, si trovano raramente in condizione di percepire un genere di relazioni che unicamente un sapere polivalente è in grado di stabilire.”
E anche con Suzuki Roshi: “Nella mente del principiante vi sono molte possibilità, mentre in quella dell’esperto ve ne sono poche.”