These are the songs of my life: Starless Edition

Starless funziona così: parte un mellotron d’ambiente che dichiara senza indugi “salve, siamo i King Crimson, forse vi ricorderete di noi per un simile uso degli archi sintetici su album come In the Court of the Crimson King e In the Wake of Poseidon“, disteso su un tessuto ritmico di finezza tipicamente brufordiana. Al secondo 23 entra Fripp, porgendo una frase di tale bellezza lirica da avere pochi paragoni nella storia, una sorta di extended riff subito ripreso con variazioni a preparare l’ingresso della voce da vecchio mollicone di Wetton, a 1.31. Le due strofe sono decorate dalle volute jazzy del sax soprano di Mel Collins, che continua a dialogare anche con la chitarra frippiana che ribadisce il riff, prima che Wetton metta a segno la terza strofa, e siamo a 4.25. A quel punto il buon John si zittisce e col suo basso distorto mette la prima pietra di quello che sarà, subito raggiunto da mastro Fripp, artefice nel caso di una cantilena su due note, ossessiva, implacabile, condita da qualche inquietante effetto mellotronico. A 5.12 torna della partita anche Bruford, dapprima con sparsi tocchi percussivi, poi da 6.33 riprendendo le fila del ritmo (13/8, mi si dice), e passando a guidare il crescendo sempre più maniacale, in particolare da 7.44, quando Fripp alza il volume e per un minuto è puro rock dall’inferno; fino a quando (8.35), la batteria si riposa un po’ e un duetto basso-chitarra sempre più snervante conduce all’accelerazione di 8.59, dove a condurre le danze è il sax alto di Ian McDonald. Il flusso improvvisativo del vecchio sodale frippiano è supportato dal resto della band fino a 9.55, dove ritorna Mel Collins ad addolcire il sound e a ricamare sulle note della strofa. A 10.17 Fripp riprende a macinare il suo ostinato, mentre sopra di lui tutti la sezione ritmica inscena un delirio semirumoristico da cui sboccia come un fiore di fuoco, a 11.09 (uno dei momenti supremi nella storia della musica, per me), il memorabile riff, stavolta innalzato per due volte da Collins a dimensioni epiche, mentre torna il mellotron, Wetton spinge come fosse indiavolato e Bruford, che non chiedeva altro, può scatenarsi e portare a compimento il tripudio finale.

(Per chi vuole, tra le varie cover c’è quella splendida delle Unthanks, in cui le sorellone e Adrian McNally distillano il dettato crimsoniano – minus il mayhem strumentale, ovviamente – in una incantata partitura da camera, con archi veri, un piano a dettare il ritmo, la tromba di Lizzie Jones a incaricarsi del tema, e le voci “che te lo dico a fà” di Rachel e Becky a trasportare in un amen il Fripp-pensiero sulle brughiere del Northumberland.)


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