Quando avevamo 14/17 anni, quando come spugne assorbivamo tutto senza filtri, questo era il rock di cui eravamo circondati, bene o male. Certo, poco prima c’erano state le raffinatezze hardcore degli Hüsker Dü, ma era davvero una zona sonica un po’ troppo rumorosa e raffinata al tempo per le nostre orecchie ancora grezze. Ovvio, c’erano nell’aria i germi di quel virus chitarristico che di lì a qualche anno sarebbe esploso a Seattle e dintorni in forma grunge, ma non eravamo abbastanza profetici per vedere il futuro. Sì, scoprivamo le radici del tutto andando a comprare i vinili in nice price degli Zeppelin. E magari avevamo a scuola il gruppo di ragazzini metallari che si esaltava con le architetture galoppanti dei Maiden, o con la violenza controllata dei Metallica, e di lì a poco avremmo messo nel radar il metal virato progressivamente da Queensrÿche e Dream Theater. Ma, non raccontiamoci cazzate, quello che ascoltavamo tutti i giorni, i clip che aspettavamo su Videomusic, le cassette che ci passavamo sottobanco vedevano protagonisti truzzi impresentabili come i Mötley Crüe di Girls Girls Girls, motociclette rombanti, bonazze disponibili, chiodi come se piovesse, machismo imperante e chitarroni à go go. Erano i Van Halen di Sammy Hagar e Why Can’t This Be Love, meno baracconeschi che con David Lee Roth, ma sempre epitomici degli eccessi del carrozzone rock anni ’80. Erano ballatone che più straightforward non si può come Every Rose Has Its Thorn di capelloni con l’animo romantico come i Poison, o di wannabe cowboy del New Jersey come i cotonatissimi Jon Bongiovi e Richie Sambora che intonavano Wanted Dead or Alive, o, sempre dal New Jersey, di ragazzotti che magari fossero nati a Cinecittà avrebbero gorghegghiato su Terra promessa e invece tiravano fuori 18 & Life. Erano residuati dell’hard rock Seventies che si riciclavano dopo una passata dal parrucchiere come il David Coverdale fu-Deep Purple Mark 3 e 4 che testosteroneggiava languido su Is This Love, o il re del grand guignol hard glam Alice Cooper che rinasceva dalle ceneri con l’iconica Poison. Erano epigoni nordici, indimenticabili (ahimé) come gli Europe di Carrie o dimenticabilissimi come i D-A-D di Sleeping My Day Away. Erano, soprattutto, gli autori del capolavoro del genere tutto, gli sfigatissimi Def Leppard, che con Hysteria misero su il Thriller dell’hair rock, il suo lascito più durevole. E, ça va sans dire, i Guns’n’Roses di Appetite for Destruction, che prima di rivolgere l’appetito di distruzione verso sé stessi ci fecero pensare che la colonna sonora perfetta per i nostri ambigui 15 anni potesse davvero essere Paradise City. Siamo fatti anche di questo (per fortuna, purtroppo?).