[…] nel momento in cui scopre di poter vedere tutto, l’occhio avverte anche che quel che può vedere ha perso (o rischia di perdere) ogni contatto con la realtà. Come stanco, o disincantato, l’occhio si ritrae e rinuncia al proprio primato. Forse perché sente di aver superato quella soglia critica oltre la quale la “perfezione dell’illusione” si autonega, nella consapevolezza che – come scrive Maldonado – “se l’illusione non è più distinguibile dalla realtà, nessuna ulteriore perfezione dell’illusione è immaginabile”. Forse il cinema contemporaneo sta attraversando proprio questa fase: schiacciato fra le spinte ibridanti e contraddittorie del postmoderno, gli appelli postfordisti all’iperproduzione globalizzata e le sirene scopiche della virtualità, fatica a immaginarsi un futuro che non sia o di pura e nobile (ma sterile) fedeltà al proprio passato o di resa incondizionata al virtuale (e, quindi, di tradimento del proprio statuto ontologico originario). Così, al contempo eccitato, disorientato e lacerato, oscilla, esita, dubita.