Ex Libris 156 (ri-creazioni)

Vie

Gli Antenati, che avevano creato il mondo cantandolo, disse, erano stati poeti nel significato originario di poesis, e cioè “creazione”. Nessun aborigeno poteva concepire che il mondo creato fosse in qualche modo imperfetto. La vita religiosa di ognuno di essi aveva un unico scopo: conservare la terra com’era e come deoveva essere. L’uomo che andava in walkabout compiva un viaggio rituale: calcava le orme del suo Antenato. Cantava le strofe dell’Antenato senza cambiare una parola né una nota – e così ricreava il Creato.
“Certe volte,” – disse Arkady – “mentre porto i ‘miei vecchi’ in giro per il deserto, capita che si arrivi a una catena di dune e che d’improvviso tutti si mettano a cantare. ‘Che cosa state cantando?’ domando, e loro rispondono: ‘Un canto che fa venir fuori il paese capo. Lo fa venir fuori più in fretta.'”Gli aborigeni non credevano all’esistenza del paese finché non lo vedevano e lo cantavano: allo stesso modo, nel Tempo del Sogno, il paese non era esistito finché gli Antenati non lo avevano cantato.
“Quindi, se ho capito bene, la terra deve prima esistere come concetto mentale. Poi la si deve cantare. Solo allora si può dire che esiste.”
“Esatto.”
“In altre parole ‘esistere’ è ‘essere percepito’?”
“Sì.”
“Somiglia pericolosamente alla confutazione della Materia del vescovo Berkeley.”
“O al buddhismo della Mente Pura,” disse Arkady “che vede a sua volta il mondo come illusione.”


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