Leggendo Le vie dei canti mi son segnata alcuni passi dagli appunti sull’abortito libro sul nomadismo che interpola il resoconto del viaggio australiano di Chatwin. A me paiono illuminanti a proposito del rapporto stringente tra sottomissione dell’animale non umano e di quello umano, di come l’una si trasli nell’altro. Il capitalismo impara a trattare gli uomini come merce perché già dei viventi erano stati trasformati in moneta sonante (e morente). E la trasformazione in “bestia” del diverso (dello straniero, del nemico) deriva, linguisticamente, dal fatto di considerare spregiativamente la “bestia”.
Certo, poi lo stesso Chatwin non unisce i puntini a dovere, se a un certo punto si mette a fare dello humour stantio sui vegetariani citando a sproposito – ebbene sì – il buon vecchio Adolf. Ma si sa, l’antropocentrismo fa di questi scherzi, anche alle intelligenze più notevoli.
Secondo Max Weber gli iniziatori del capitalismo moderno furono certi calvinisti, che predicarono la dottrina della giusta ricompensa del lavoro, dimentichi della parabola del cammello e della cruna dell’ago. Tuttavia il concetto di trasferire e accrescere le proprie “ricchezze vive” esiste da quando esiste la pastorizia. Gli animali domestici sono “moneta corrente”, “che corre, dal francese courir. E infatti quasi tutti i nostri termini monetari – capitale, scorta, pecuniario, beni mobili, sterlina, forse anche l’idea stessa di “crescita” – hanno origine nel mondo pastorale.
Si può ipotizzare che lo Stato, come tale, sia il risultato di una specie di fusione “chimica” fra il pastore e il coltivatore – una volta appurato che le tecniche di coercizione degli animali si potevano applicare a una massa inerte di contadini.
Nelle comunità militari della Germania antica, ogni giovane veniva addestrato a reprimere le sue remore all’omicidio: doveva denudarsi, mettersi addosso la pelle [bearskin] ancora calda di un orso appena scuoiato e farsi invadere da una rabbia “bestiale”: diventare insomma, nel vero senso della parola, una “belva” [berserk].
In latino medioevale vargus – cioè “bandito” o “forestiero” – significa anche “lupo”; e così i due concetti – quello della bestia feroce che deve essere catturata e quello dell’uomo che deve essere trattato alla stregua di una bestia feroce – sono intimamente legati. (P.J. Hamilton, The Silent Trade)