Ex Libris 153 (vecchi)

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Ci fu una breve pausa, sentimmo dei passi salire le scale. Ma era il botanico Eshcuid, rientrato dalla sua escursione molto più tardi del solito, che ci veniva incontro nella sala.
Teneva in mano una pianta alta come un uomo, dai fiori splendenti di un blu color dell’acciaio.
“È certamente, e senza paragoni, il più grande esemplare di questa specie che sia mai stato trovato; mai avrei pensato che il velenoso napello potesse crescere anche a queste altezze”, disse con voce afona dopo averci salutato col capo, e con cura meticolosa, in modo che non una sola foglia si ammaccasse, posò la pianta sul davanzale della finestra.
“Anche lui è come noi”, mi passò per la testa, e avevo la sensazione che Mr. Finch e Giovanni Braccesco in quell’istante pensassero la stessa cosa, “uno che da vecchio vaga ancora irrequieto su questa terra, come se fosse in cerca della propria sepoltura e non riuscisse a trovarla; raccoglie piante che l’indomani sono secche; a che pro? a che fine? Non se lo chiede più. Sa che il suo agire è senza scopo, come noi sappiamo del nostro, ma quel che è peggio, dev’essere ormai fiaccato dalla consapevolezza che tutto ciò che viene iniziato è senza scopo, che appaia grande o meschino, la stessa consapevolezza che ci ha fiaccato nel corso di tutta un’esistenza. Fin da giovani siamo come i moribondi, le cui dita percorrono inquiete le coperte; che non sanno a cosa attaccarsi, come i moribondi cui non sfugge l’evidenza: la morte è in questa camera, cosa gliene importa se apriamo le mani o stringiamo i pugni!”.


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