La Camera della cultura del Reich era un’organizzazione ombrello che comprendeva sette Camere distinte: belle arti, musica, teatro, letteratura, stampa, radio e cinema. Tutti coloro che lavoravano in uno qualsiasi di questi campi, non solo gli artisti, ma anche gli editori, i produttori, i fabbricanti di apparecchi radio e così via, erano tenuti a far parte della rispettiva Camera, che aveva il diritto di espellere i membri o rifiutare l0ro l’ammissione per “inaffidabilità politica”. Questa espressione deliberatamente imprecisa implicava che perfino coloro che erano solo tiepidamente entusiasti nei confronti del nazionalsocialismo, o che offendevano gli uomini dell’apparato alla direzione delle Camere, foss’anche con una battuta sconsiderata, potevano essere privati del diritto di esercitare la professione che si erano scelti.
L’emigrazione di scrittori, artisti, musicisti e pensatori, iniziata in precedenza, quell’anno si trasformò in una marea montante, guidata dal vincitore del premio Nobel Thomas Mann. Alcuni dei nomi più illustri della Germania partirono per Parigi, Londra, New York, Hollywood, ciascuno di essi un monito vivente contro il regime nazista. Goebbels fece del suo meglio per arginare quel flusso, affermando che non era sua intenzione “indagare per scoprire ideologie”, e che il governo voleva soltanto “essere il buon patrono dell’arte e della cultura tedesca” mettendo fine al “dilettantismo privo di sentimento e di sensibilità di un esercito di incompetenti” e sradicando “filisteismo” e “arretratezza reazionaria”. “Solo mani consacrate” dichiarò “hanno il diritto di servire all’altare dell’arte. Qualche nome prestigioso fu persuaso dalle sue parole reboanti e rimase: tra gli altri, il direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler, i compositori Richard Strauss e Paul Hindemith, il pianista Walter Gieseking, il poeta Gottfried Benn e il drammaturgo Gehrart Hauptmann, un altro premio Nobel. La maggioranza, tuttavia, si rese conto che il ministero del Controllo del pensiero di Goebbels era diventato realtà e che i suoi tentacoli si allungavano in ogni angolo della vita tedesca. William Shirer osservò, e in seguito annotò, quanto fosse diventato efficace:Nessuno, se non è vissuto per anni in un paese totalitario, può rendersi conto di quanto sia difficile sfuggire alle paurose conseguenza della propaganda ben studiata e incessante di un regime. Spesso, in una casa o in un ufficio tedesco, e talvolta durante una conversazione occasionale con uno sconosciuto al ristorante, in una birreria o in un caffè, mi è capitato di trovarmi di fronte alle asserzioni più strane da parte di persone apparentemente istruite e intelligenti. Era chiaro che esse stavano ripetendo automaticamente qualche assurdità sentita alla radio o letta nei giornali. Qualche volta si cedeva alla tentazione di farlo notare, ma si era accolti in questo caso da un tale sguardo di incredulità, da una tale reazione di silenzio (come se si fosse bestemmiato contro l’Onnipotente) che si capiva quanto fosse inutile perfino tentare di prendere contatto con una mente ormai deformata, per la quale la realtà delle cose era divenuta quella che Hitler e Goebbels, cinicamente incuranti della verità, indicavano come tale.