Entrare sparando

Sincronicità.

I giorni scorsi, proprio mentre mi accingevo a rivedere con Vale qualche vecchio classico di John Woo, trovavo tra i ritagli da sistemare un articolo da un “Cineforum” del ’95 a firma Gualtiero De Marinis: I love Sergej, spassosa lettera d’amore a Eisenstein, con le sue rivoluzioni formali confrontate al cinema allora contemporaneo, da Natural Born Killers a Woo, appunto. E mi è sembrato di riprecipitare in quegli anni, quando si scopriva (come dicevo ultimamente) il pianeta Hong Kong.

All’epoca, nell’esaltazione delle mitiche sparatorie wooiane (che un mio indimenticabile amico sintetizzava come: entrare sparando), avevo questa fantasia ricorrente per cui se qualcuno se ne usciva con qualche cazzata, bussavano alla porta e irrompeva nella stanza Chow Yun-fat, due pistole in mano, sparando all’impazzata.

Quanto a Eisenstein, tornando a Bullet in the Head, l’insuperabile e atroce capolavoro di Woo, trovavo pienamente confermata la mia impressione dell’epoca: quanto è cinematograficamente più pregnante la scena dell’esecuzione dell’attentatore vietkong, col cambio di fuoco che rivela nella profondità di campo la pietà michelangiolesca nel cortile della scuola, rispetto al montaggio dei leoni eisensteniani che si ergono di fronte al cannoneggiamento del Potemkin? Woo qui sta con Bazin nella rivelazione di un sentimento del mondo dentro l’inquadratura, piuttosto che nella meccanica a effetto che guida intellettualmente la comprensione.

We love Woo, ancora e sempre.


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