Un mese fa iniziavo l’avventura (in solitaria) del romanzo (breve) in un mese. In realtà, ho scritto solo mezzo mese. Quindi l’esperimento continua, in questa bella e variabile primavera.
Arrivata a metà del percorso devo ammettere che è vero: per scrivere romanzi (senza rompersi le scatole a 3/4) ci vuole costanza, e star lì un certo numero di ore e tirar giù un certo numero di parole. E che la sindrome della pagina bianca non esiste. Esiste piuttosto la pigrizia, magari la reale mancanza di idee. Il perdersi ogni tanto va pure bene. Va bene ogni tanto brancolare nel buio. Ma una volta che hai una scaletta di massima, che sai cosa vuoi dire e come, bisogna solo mettersi lì, e macinare parole.
Se poi quel che ne risulta, alla fine del mese (o dei due) è buono, questo è un altro discorso.
La prossima volta spero di avere a disposizione un mese intero (facciamo uno e mezzo), tutto di seguito. Questo qui a metà ha iniziato a sgretolarsi, tra distrazioni e stravolgimenti. Qualche distrazione esteriore, ma soprattutto un bello stravolgimento interiore.
Si è – come si suol dire – chiuso un ciclo. Se n’è aperto un altro, che cerca di portarsi il meglio del vecchio, coniugandolo con tante cose nuove.
Di nuovo, ho scoperto (montalianamente) cosa NON voglio essere, o diventare. Ho imparato che a volte è meglio tagliare i legami con persone a cui vuoi bene, ma che cercano, consapevolmente o meno, di farti diventare qualcosa in cui non ti riconosci. E finiamola così.
Che altro? Ah sì.
Spero che i latitanti tecnici si sbrighino a mandare la scheda per il tapis roulant, che sono fuori forma. Ormai è da novembre che quell’affare è fermo, cribbio.
Spero di trovare una soluzione per la “h” della tastiera, che Hermione (nomen omen) è riuscita a far saltare via in una delle sue fughe parossistiche dalle spietate cacciatrici rosce.
Spero di trovare in un modo o nell’altro uno o due obiettivi per la macchinetta nuova.
Spero soprattutto che il sogno del casaletto non rimanga tale. Prima o poi…