Era già un annetto abbondante che volevo leggere questo manuale, e ora che ce l’ho, e ne ho letto buona parte, vorrei girarlo a voi. Come al solito, non vi racconterò tanto del libro in sé (quello potete anche comprarlo, se davvero volete fare questo passo, vi sarà utile) quanto di quello che ho pensato, rimuginato e fantasticato leggendolo.
Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi…
Come da titolo, il libro nasce per dare qualche dritta a tutti quelli che vorrebbero cambiare vita, e aspirano a un’esistenza meno frenetica, più tranquilla e a contatto con la natura. Non c’è bisogno di scomodare i telepati, Zuckenberg o il Grande Fratello Orwelliano per indovinare che voglio un casaletto con della terra da coltivare. Quella è la mia meta, lo sanno pure i sassi, ormai. E appunto: la meta. Ho, anzi, abbiamo (ché fortunatamente le ambizioni sono condivise dal mio legittimo) ben preciso in mente dove vogliamo arrivare, ma c’è tutto un cammino da fare, in mezzo.
Abbandonare la città, già fatto al momento di sposarci. Ma a me non basta. Il paese mi va stretto, senza considerare che qui ho il sole per due ore all’anno, e con due ore all’anno le uniche cose a crescere e prosperare sono edera e ortica. Buona l’ortica, ottima in zuppe, minestre, ravioli e gnocchi, buonissima macerata per fertilizzare (cosa, le altre ortiche?) e contro i parassiti (dell’edera?) ma appunto: dopo un po’ viene a noia. A parte che nemmeno mi fido di raccoglierla qui: con le “disinfestazioni” messe in mano a chissà chi, chissà cosa ci buttano sopra. Un periodo vedevo anche, fra i sassi delle stradine, belle e folte portulache. Anche quelle mai raccolte, sempre per il discorso dei veleni. Ho provato a raccogliere le capsule con i semi e a spargerle nei vasi, ma non sono germogliate.
Qualcuno dice: ma se vuoi un orto basta che ti prendi un pezzetto di terra in affitto da queste parti, scendi la mattina, a pranzo torni a casa, che ci vuole? Beh, sì, l’osservazione è giusta: però c’è il fatto che questa valle non è proprio il massimo, quanto a qualità del terreno, con veleni e tutto (siamo un po’ troppo vicini a Colleferro); e poi andare e venire dal paese a piedi, ma scherziamo?, diventerebbe un lavoro a tempo pieno togliendomi tempo per tutto il resto, dalla cura dei gatti alla cura della casa alla scrittura.
Ecco. Io vorrei, ma…
Questo è il primo vero ostacolo che impedisce, a chi lo favoleggia come me, di cambiare vita. Non coltivo la terra mettendo scuse più o meno valide, più o meno razionali, ma sempre scuse sono. Il fatto è che ho già provato a coltivare pomodori, cicorietta grumolo e fagiolini, ho piantato un paio di patate, il primo anno. Di patate ne sono venute una decina, molto piccole (lo ho spazzolate per bene, condite con olio e sale e cotte in forno con tutta la buccia: erano buone), ma pomodori e cicoria non sono spuntati, e i fagiolini ne hanno prodotti tre, di numero.
Il cambiamento è necessario, ma qui serve uno stravolgimento alla base. Qui serve davvero il famoso casaletto (auspicabilmente in pietra), che sia nel Chianti (eh, magari) o comunque in qualche luogo un po’ meno disastrato.
Ed è appunto qui che interviene il saggio di Grazia.
Cambiare posto si può. Si può cambiare casa, si può cambiare lavoro. Non è detto che abbandonare il lavoro in città sia una disgrazia e moriremo tutti di fame, perché di lavoro ce n’è ovunque, basta saperlo cercare e soprattutto, basta saperlo volere.
Voglio andare a vivere in campagna
Io sono trent’anni che vivo con questo leitmotiv (non la canzone di Cutugno, eh? proprio la frase). Mia madre la ripete continuamente da che io ricordi. Forse per questo anche io *voglio* andare a vivere in campagna? In realtà a me non basterebbe una campagna qualsiasi, altrimenti avrei anche preso in considerazione l’idea di iniziare con un piccolo appezzamento in affitto qui, in vista di un trasloco fra chissà quanti anni. Io voglio la campagna, sì, ma a una certa altezza. Le grandi praterie e le distese piatte sconfinate non fanno per me, mi fanno salire l’ansia. Devo avere monti intorno che si chinino a cullarmi; devo poter vedere il mondo dall’alto. E ho bisogno di boschi intorno. Boschi senza cacciatori, auspicabilmente (è chiedere troppo?).
Vedi che già ci sono i primi problemi? Grazia parla della casa, di come trovarla, delle varie ipotesi di acquisto o affitto, dell’autocostruzione. E qui c’è l’inghippo: noi viviamo con un certo numero di gatti, siamo sicuri che l’affitto sia una strada percorribile? O chiedere un mutuo, rischiando di pagare la casa tre volte il suo valore? E trovarla solo in alcuni luoghi, scartando per forza di cose tanti posti?
Io lavoro, e penso a te…
Quello del lavoro è l’altro nodo della questione. Io vedo Ale, che fa avanti e indietro tra qui e Roma, e torna a casa la sera sfinito e allucinato. Paga tot euro per farsi maltrattare da trenitalia e farsi derubare di cinque ore al giorno. E la cosa bella è che nemmeno siamo così lontani, dalla città. Una quarantina di km, in linea d’aria. Cinque ore al giorno, moltiplicate per cinque giorni alla settimana, per mesi, per anni. Quante ore sta perdendo, il mio Ale? Ne vale la pena? No, non ne vale la pena, ma non vedo soluzioni.
L’importante è-è-è-è-è… iniziare
Il libro di Grazia si sta rivelando quindi non una risposta, ma un moltiplicatore di domande, e anche per questo è prezioso, perché squaderna tutti gli aspetti della questione. Ad ogni modo, non ci sono solo desideri frustrati. Ci sono anche consigli su come iniziare il cambiamento senza pensare subito a traslochi e lettere di dimissioni. Farsi il pane in casa, farsi il latte di soia o di avena, farsi i saponi per la casa usando solo marsiglia e oli essenziali. Evitare determinati prodotti. Fare un orto sul balcone (eh, no, questo non si può, non me lo ricordate). Cucirsi i cuscini per i gatti da sé, invece che comprarli pronti a cinquanta euro (almeno una fortuna: mia madre ha un sacco di stoffe e imbottiture): ho tagliato e cucito tre cuscini, finora, per casa, e ho intenzione di tagliarne altrettanti per i trasportini.
Alla fine Grazia racconta le storie di chi ce l’ha fatta (anche se poi tutto il libro è quella storia, ché lei stessa è un modello cui ispirarsi, nel suo percorso da Milano all’Appennino tosco-emiliano). Non è che ora vivono nei fienili e sotto i ponti, non è che sono denutriti, non sono disperati, anzi, mi pare il contrario, sono felici e realizzati.
Scappo dalla città. Io non vedo l’ora.
Devo scrivere un altro libro per risponderti! Il che, peraltro, è proprio in lavorazione… Comunque sì, hai esattamente centrato il punto: l’importante è iniziare. Io comunque, se ti può servire come incitamento, vivo in una casa in affitto e posso tenere quanti gatti mi pare. L’elasticità della campagna verso la rigidità di alcuni proprietari di città. Ma quello della casa è, da solo, un discorso lunghissimo. Se vuoi, un giorno lo facciamo a voce 🙂
Volentierissimo! ^_^
Appunto: parlavo oggi con un’amica della cosa che mi dicevano sull’affittare un pezzo di terra a valle e coltivarlo. Lei ha scosso la testa, dicendo: “Tz, con questo sistema non ci ritrovi niente, nell’orto, altro che.”
non ci sono mai riuscita neanche io, sono arrivati a chiedermi 300 euro al mese per 300 mq di orto lontanissimo da casa. Se ne parli e basta, sembra che tutti vogliano affittarti un terreno. Se lo vuoi davvero, si ricordano che però il fratello non vuole, che devono farci altro oppure sparano prezzi da follia. E non commento nemmeno quelli convinti che se coltivi per due anni un loro terreno poi diventa tua o li puoi portare in tribunale per tirarglielo via… Ho sentito di tutto in questi anni! L’unica alla fine è trovare casa con terreno, anche in affitto. E’ più semplice di quel che pensi 🙂