Ora che tutti hanno parlato a perdifiato, è giunto il mio turno. Lo devo a me stessa. Ci sono arrivata per gradi: narrare è un’arte minore, la esercitano donne anziane, mendicanti girovaghi, cantanti ciechi, ancelle, bambini – gente che ha tempo a disposizione. Una volta si sarebbe riso se mi fossi atteggiata a menestrello – niente appare più ridicolo di un nobile che si avvicina in modo maldestro all’arte -, ma adesso che valore ha l’opinione degli altri? Qui ci sono solo ombre, echi. Tesserò, dunque, la mia tela.
La difficoltà risiede nel non avere una bocca attraverso cui parlare. Non posso farmi capire nel vostro mondo, il mondo dei corpi, delle lingue e delle dita; per la maggior parte del tempo non ho chi mi ascolti dalla vostra parte del fiume. Quelli di voi che riusciranno a cogliere questo bisbiglio, questo squittio, confonderanno le mie parole con le brezze che soffiano tra i giunchi secchi, con il volo dei pipistrelli al crepuscolo, con i brutti sogni.