Mi avviai verso i quattro meli che chiamavamo frutteto e di lì imboccai il sentiero che portava al ruscello. La mia cassetta di dollari d’argento seppellita sulla riva era al sicuro. Nei pressi del ruscello, praticamente invisibile, c’era uno dei miei nascondigli. Lo usavo spesso e lo avevo costruito con molta attenzione: avevo estirpato un paio di cespugli bassi e livellato il terreno; tutt’intorno c’erano altri cespugli e rami, uno dei quali toccava quasi per terra nascondendo l’ingresso. Non era davvero necessario fare tanta attenzione, perché nessuno veniva mai a cercarmi lì, ma quando me ne stavo distesa dentro con Jonas volevo essere sicura che non mi avrebbero mai trovata. Mi ero fatta un letto di rami e foglie, e Constance mi aveva dato una coperta. Tutt’intorno e sopra di me gli alberi erano così fitti che il mio nascondiglio era sempre asciutto, e la domenica mattina mi mettevo lì con Jonas ad ascoltare le sue storie. Tutte le storie di gatti cominciano con questa dichiarazione: «Mia madre, che è stata la prima gatta, mi ha raccontato…», e io avvicinavo la testa e ascoltavo. Oggi non ci sarà nessun cambiamento, pensai, è solo la primavera; ho fatto male a spaventarmi tanto. Le giornate si sarebbero fatte più tiepide, zio Julian se ne sarebbe stato seduto al sole, Constance avrebbe riso mentre lavorava in giardino, e tutto sarebbe rimasto uguale. Jonas continuava a raccontare («E poi ci siamo messi a cantare! e poi ci siamo messi a cantare!»), sopra di noi si muovevano le foglie e tutto sarebbe rimasto uguale.