Todd Haynes non è solo il regista americano più talentuoso della sua generazione, ma anche l’autore dei più bei rock movies degli anni recenti. Il caleidoscopico ritratto dylaniano di I’m Not There. è un gioiello tanto per gli amanti del personaggio che per quelli del cinema; quanto a Velvet Goldmine, è semplicemente il mio film musicale preferito. Quando uscì – ricordo che lo vidi in un’anteprima in una sala doppiaggio, pure col mascherino sbagliato – pensai che quello era il film che avrei voluto fare, avessi fatto film, quello era il luogo audiovisivo dove volevo essere: quel crocevia dove l’intelligenza sopraffina della costruzione, l’intarsio coltissimo delle citazioni si sposano con le volute fiammeggianti dello stile, le traiettorie sfrenate del desiderio. Il tutto fuso e sublimato dal fuoco della musica, i classici di Roxy Music e T.Rex e gli originali dei Venus in Furs, il supergruppo chiamato a realizzare alcuni brani di Brian Slade/Maxwell Demon – dall’esplosione cromatica dei titoli di testa, col ritmo frenetico di Needle in the Camel’s Eye di Brian Eno che catapulta sulle strade gioiose e libertarie della Londra glam insieme al misterioso Jack Fairy, alla chiusura con una radiolina che trasmette Make me Smile di Steve Harley. E proprio questo eroe minore degli anni ’70 è l’occulto protagonista della soundrack, dalla Sebastian che segna il periodo flowe power di Slade alla sublime Tumbling Down che marca la scena più bella impaginata da Haynes (una scena che dovrebbe far vergognare Baz Luhrmann in eterno): quella in cui da un tetto nevoso su cui si baciano il giornalista fan Arthur Stuart e l’Iggy Pop look-alike Curt Wild si passa con gesto oshülsiano a una scenografia da capriccio barocco dominata dal re del glitter Maxwell Demon:
He’s got nicotine stains in his eyes/He’s got nothing to protect but his pride
Oh smothered a kiss/Or be drowned in blissful confusion
See her tumbling down
Una risposta a "These are the songs of my life: Velvet Edition"