Ex Libris 109 (sentimento e sentimentalismo)

Al di là della natura

È fondamentale abbattere l’inveterato pregiudizio secondo cui la questione animale interesserebbe per lo più distinte signore borghesi col cagnolino sotto al braccio, gente per la quale, magari, la sofferenza degli animali conterebbe più di quella degli esseri umani. Si tratta di argomenti assolutamente privi di fondamento, artifici retorici di chi vuole continuare a girare la testa dall’altra parte. Il socialista inglese E. Belfort Bax, in un saggio intitolato “A Bundle of Fallacies”, chiariva già nel 1907 come il “sentimentalismo” non possa essere definito un semplice “eccesso” di sentimento, poiché non esiste alcuna misura storicamente fissa del sentimento (nel medioevo, ad es., chi si fosse opposto alla gogna o al pubblico supplizio sarebbe stato un “sentimentale”). Il sentimentalismo consiste invece nella “distribuzione del sentimento”. “La tendenza del progresso”, scriveva Belfort Bax, “è orientata ad un aumento dello standard di sentimento, una crescita nella sua quantità, nella sua tendenza a diffondersi  su aree precedentemente non occupate da esso ed è impossibile porre un limite effettivo e dire al sentimento – ad es., alla simpatia e alla repulsione nei confronti dell’idea di sofferenza – ‘devi giungere fin qui e non oltre!’ perché tale limite sarebbe puramente arbitrario. Ma dove il sentimento si concentra in un punto in eccesso rispetto ad un altro, a parità di condizione, allora si ha il sentimentalismo, non per l’ammontare assoluto di sentimento presente, ma per la sua distribuzione, cioè, per il suo ammontare relativo in rapporto ai suoi oggetti. Prendiamo due esempi. Ci sono alcune persone la cui repulsione nei confronti della crudeltà verso gli animali coincide con una correlativa indifferenza verso le crudeli punizioni date ai bambini e, ancora di più, verso la tortura di condannati al lavoro forzato e alle frustate. Oppure, tremeranno di orrore indignato vedendo picchiare un cane o il superlavoro di un cavallo, eppure ascolteranno senza battere ciglio gli orrori di una fabbrica insalubre o di manifatture malsane. Una volta conobbi una signora che, mentre si opponeva violentemente alla vivisezione di animali, era pronta a permetterne la pratica, se necessario, su criminali di un certo tipo. Ora, qui, penso, abbiamo certamente il diritto di descrivere la sensibilità verso la sofferenza animale come sentimentalismo, non perché sia necessariamente un eccesso in sé stesso, ma perché è totalmente fuori proporzione con il sentimento per la sofferenza degli umani”. È chiaro però che coloro che si oppongono sia alla sofferenza umana che a quella animale non rientrano affatto in questa categoria. E, sia detto per inciso, sono gli unici che non possono essere accusati né di cieco sentimentalismo, né di ottusa freddezza.


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