Circondato dal cielo celeste-chiaro, dall’acqua giallo-verde, si sentì, ciò nonostante, meno colpevole. Gli uccelli avevano annunciato il nuovo giorno come se si fosse trattato del mattino dopo la creazione del mondo. Brezze tiepide portavano i profumi dei boschi e gli odori dei cibi cucinati negli alberghi. Parve a Herman di avere udito il verso di una gallina o di un’anatra. In qualche posto, in quella splendida mattinata estiva pollame veniva sgozzato; Treblinka era dappertutto.
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Herman trascorse il giorno e la notte precedenti la vigilia di Yom Kippur in casa di Masha. Shifrah Puah aveva comprato due galline propiziatorie, una per sé e una per Masha; avrebbe voluto comprare un gallo per Hernan, ma lui glielo aveva proibito. Già da qualche tempo, ormai, stava pensando di diventare vegetariano. Ad ogni occasione, faceva rilevare che quanto i nazisti avevano fatto agli ebrei, l’uomo lo stava facendo agli animali. Come ci si poteva servire di un pollo per redimere i peccati di un essere umano? Perché un Dio compassionevole avrebbe dovuto gradire un simile sacrificio?
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La baia era illuminata dal sole e piena di imbarcazioni, molte delle quali appena rientrate da puntate in mare aperto, all’alba. Pesci che poche ore prima avevano nuotato nell’acqua giacevano adesso sui ponti delle barche con gli occhi vitrei, la bocca lacerata, le squame insanguinate. I pescatori, ricchi dilettanti, li stavano pesando e si vantavano delle loro prede. Tutte le volte in cui Hernan aveva assistito al massacro di un animale o di un pesce, era sempre stato assalito dalla stessa riflessione: nel loro comportamento con le creature viventi, tutti gli uomini dimostravano di essere nazisti. La presuntuosità con la quale l’uomo faceva con le altre specie quel che gli piaceva era una esemplificazione delle teorie razziste più estremistiche, il principio secondo il quale la forza è diritto.
Non ti mangiare le pellicine!
Glielo dico sempre anche io.
Non c’è niente di mangiato, e state andando fuori tema.