Partendo dalla nostra goffa filastrocca dell’altro giorno.
Allora, forse c’è da stabilire un protocollo: ognuno è libero di occuparsi in particolare dei temi che per indole, capacità, conoscenza, più stanno a cuore, senza che nessuno si senta in diritto di dire che ce ne stanno millant’altri più importanti essenziali vitali da risolvere prima (tipo: prima risolviamo la questione dei diritti umani e poi passiamo a quelli animali – laddove il prima e il poi possono tranquillamente tradursi in mai). Allo stesso tempo, ognuno dovrebbe aprire orecchi occhi sensi a 360° supportando chi affronta sincronicamente altre battaglie, in altri settori, non chiudendosi a riccio sulle proprie: uscire fuori da noi stessi, confrontarsi, entrando nell’ordine di idee che – in fondo – stiamo tutti combattendo una stessa guerra. Altrimenti abbiamo quegli animalisti che non vogliono saper niente di politica (come se la politica non li riguardasse; come se loro non facessero – o non dovessero fare – politica), ché sono tutti uguali e via grilleggiando (quel che è accaduto in occasione delle recenti comunali di Roma è paradigmatico); o, viceversa, quei colti intellettuali, tanto engagé per carità, che quando si arriva alla questione animale si accodano tranquillamente alle prescrizioni della chiesa o del capitale.
Dal nostro punto di vista, un esempio imperituro dell’unione spirituale che dovrebbe legare i movimenti sono le suffragette antivivisezioniste che fecero esplodere il caso del Brown Dog, avendo ben chiaro il nesso – all’insegna di sopraffazione e dominio – della condizione della donna e degli animali nella società degli uomini. Da allora dovremmo aver percorso con rigore quella strada, ma a quanto pare siamo invece tornati indietro di brutto, se siti che si proclamano di sinistra danno senza remore dei terroristi agli attivisti che liberano dei topi da laboratorio a Milano; e siti che si richiamano a fantomatiche resistenze razionaliste affermano che non esistono le disubbidienze civili, ma solo criminali che violano la legge (che Gandhi vi perdoni).
Siamo immersi fino al collo in queste incoerenze concettuali: a sinistra (se va bene) si lotta per la liberazione degli oppressi e per la concessione di diritti civili, perpetuando al tempo altre forme interspeciste di oppressione e diritti negati; in campo animalista spesso si è specularmente ciechi, e si devono sopportare supposti compagni di lotta che non si pongono alcuna domanda se certi manifesti alemanniani buttano nello stesso calderone vivisezione, rom e nozze gay. Lo sappiamo, la sinistra tradizionale è sempre stata antropocentrica (e spesso fallocentrica), ragion per cui ha fatto per lo più fatica ad accettare di farsi contaminare dalle istanze ecologiche, femministe, e adesso antispeciste. Ma il pensiero progressista o si evolve o si condanna all’obsolescenza. Un bell’esempio di sguardo in avanti lo dava il Vendola che rifletteva sul suo essere comunista che si fa contaminare dalle rivendicazioni verdi e femministe.
Perché, per dire, un Giovanardi lo capiamo: Cattolico. Latamente razzista. Sicuramente omofobo. Decisamente sessista. Nonché strenuo difensore di caccia, circhi con animali, sperimentazione animale. Tutto torna. Quando invece ci si trova di fronte a persone civili, intelligenti, sensibili che però arrivate al capitolo animali non umani si giovanardizzano, rimaniamo in imbarazzo, soprattutto lì, nella mitologica sinistra, dove dovrebbbe venir naturale il pensiero che contrasta l’ordine sociale dominante, salvo che quando si arriva all’ordine specista la tendenza è a rifugiarsi nell’adeguamento supino all’esistente, e gli spiriti più eversivi si accodano al luogo comune collaborazionista del “da che mondo è mondo”. Come, d’altra parte, fatichiamo a capire chi tiene il vegetarianesimo come scelta personale scissa dell’impegno sociale. Per noi non è così. Tutto si tiene, everything is connected, come nel pensiero di Isaac Singer, la cui scelta vegetariana era il cardine di una protesta contro lo stato delle cose globale. Lo schema di pensiero dell’empatia e della lotta alla logica del dominio trova “naturalmente” il suo perno proprio nella mentalità veg. e nel discorso ecologista, che contiene, com’è giusto, tutti gli altri. Il pensiero è olistico: il grido verso il paesaggio italiano distrutto è (dev’essere) il grido verso i diritti dei gay calpestati, quello contro il massacro animale rispecchiarsi in quello contro la mano dell’uomo che cala sulla donna, e così via.
Al contrario in certe mentalità progressiste ci pare sia al lavoro una concezione idealizzata e perennemente autoassolutoria dell’umano contrapposta a una concezione semplificata ai limiti della caricatura del mondo animale non umano, per cui viene automatico de-umanizzare chi commette crimini orrendi tacciandolo di “belva sanguinaria”. Laddove sarebbe fin troppo facile ribattere che qualsiasi rapace o predatore non è una belva sanguinaria, ma un animale che deve cacciare per vivere, laddove solo l’umano si compiace gratuitamente del sangue versato. Scendere dal piedistallo e riconoscere la propria complessità animale, non concependola come regressione, sarebbe al contrario un bel salto in avanti evolutivo.
D’altronde tutto nel funzionamento della società difende la mentalità specista, quindi non si può colpevolizzare chi si adegua all’andazzo generale. Noi stessi abbiamo partecipato alle sue contraddizioni fino a non moltissimo tempo fa (e comunque per un verso o per l’altro – facendo la spesa, viaggiando, vivendo dentro la società – ne partecipiamo), quindi non possiamo biasimare più di tanto la discrasia di pensiero di una popolazione che si dichiara per larga parte contraria alla caccia e alla sperimentazione animale, ma è onnivora.
Niente di nuovo sotto il sole, in ogni epoca menti all’avanguardia in certi campi restavano ancorate al proprio tempo in altri: propugnatori dell’uguaglianza di tutti gli uomini, se si trattava di allargare il discorso alle donne nicchiavano; il progressismo conviveva con l’antisemitismo; le tendenze omofobe allignavano ovunque. Ma adesso, che non vi sarebbero più scuse di conoscenze limitate ed erronee, chi rabbrividirebbe nel sentirsi dare del razzisma, del sessista, dell’omofobo, non ha problemi a dichiararsi orgogliosamente specista, come se quella fosse l’ultima ruota del carro dei diritti. E lo è, come nel grattacielo di Horkheimer, perché l’ultima ad avere un suo riconoscimento accademico, un suo dibattito interno, una sua letteratura. Ma la sua forza forse sta proprio nel poter rivelare al meglio le contraddizioni che implica l’essere umani. Nel lavorare ai confini dell’umano, e ragionare sul concetto di limite: “Ciò che costituisce l’umano è l’esperienza del limite”, dice Massimo Recalcati, citato da Loredana Lipperini e Michela Murgia in L’ho uccisa perché l’amavo – Falso), a proposito di violenza maschile sulle donne. Ma possiamo considerarlo, il limite, anche quello che certa scienza trova intollerabile, lanciandosi prometeicamente nei terreni dell’aberrazione. Porsi allora in limine all’umanità, superando le dicotomie umano/animale, cultura/natura, aiuta a rileggerci, a rivedere il nostro atteggiamento globale verso i diritti di ciascun essere vivente.
D’altronde ogni generazione scopre/rivela scenari di sopraffazione e mancanza di diritti. Partirono gli antischiavisti. Poi si aggiunsero le femministe. Altri scopriranno/riveleranno altre forme in atto o incubazione nella(e) società. Basta essere attenti, aperti, non asserragliati nelle proprie comode (per quanto libertarie) certezze, senza la pretesa di essere gli unici portatori di verità e giustizia, ma sincretizzando e sinergizzando, prendendo a prestito idee e strategie, ascoltando quello che il nostro tempo ci dice, agendo di conseguenza. La liberazione animale non può andare da sola, scollegata dal resto del mondo. Il resto del mondo non può cambiare le cose ignorando l’olocausto animale.
Verrà il giorno in cui la sperimentazione animale o l’industria della carne saranno considerate pagine oscure della storia umana. Chiamateci pure utopisti, ma lottiamo perché quel giorno sia, insieme a tanti altri che lottano perché davvero non vi siano più discriminazioni, abusi, sangue e distruzione, nelle menti, nei corpi, nella biosfera e oltre.
Le tue sono riflessioni appassionate, sviscerate e piene di amore per nostra madre terra.
Dopo 20 anni di berlusconismo, forse la sinistra ha scoperto che anche se delinquono è meglio non essere accusati? Berlusca docet. Scoprire l’arroganza ed il finto buonismo della sinistra mi ha destabilizzato, mi ha lasciato annichilita. Mi sono fatta una ragione che non esiste casta, di qualsivoglia appartenenza, che allegramente rinunci ai propri privilegi in favore di minoranze: gay, emarginati, animali, e tutto il mondo vegetale.
Hai ragione, quello è un punto focale: i privilegi sono sempre difficili da abbandonare, o comunque mettere tra parentesi, per aprirsi alle istanze dell’altro. Quando ci si taglia addosso un abito fatto di abitudini (spesso prese di peso dal pensiero dominante e date per scontate) è dura spogliarsene. Ma, senza doverci sanfranceschizzare, almeno scaricarci pian piano di qualcuna delle zavorre che imprigionano il nostro pensiero, quella è sì una crescita, un progresso essenziale (non quelli che ci vendono come inevitabile cammino liberistico).
Questo post mi è piaciuto TANTISSIMO. Gli esercizi di benaltrismo sono una meraviglia (purtroppo anche all’ordine del giorno, ma almeno danno spunti per produrre buone letture).
Condivido infine la riflessione finale. E’ vero che molti problemi nascono dal fatto che alcuni si sentono più in diritto di altri, si appropriano di più diritti, se li auto-assegnano con le ragioni più velleitarie, a partire da “mangio la carne perché l’uomo l’ha sempre fatto” (falso, ma quale diritto si può basare solo sulla tradizione? allora fatti levare sangue con le sanguisughe…). Però è anche vero che se a livello personale facciamo pesare meno questo diritto a disfare il mondo, qualcosa si cambia, con pace anche del benaltrismo che tanto ci sarà sempre. Alla fine è liberatorio privarsi di qualche diritto, chi l’avrebbe detto qualche anno fa 🙂
Eh eh, su un certo concetto di diritto ci sarà l’ex libris di domani. E sulla tradizione, ci sarebbero da farci tanti begli esercizi di demistificazione della sua mitologizzazione acritica…