Chi mi conosce sa che sono una macchina da citazioni. Basta una parola e partono le virgolette.
In questo senso, uno che mi ha attaccato dei vizi inguaribili è De Gregori.
Non c’è niente da fare.
Basta che a qualcuno (di solito mia madre) scappi un “giovane giovane”, che una molla scatta dentro e sono costretto a completare “e figlio di buona donna, e pure ladro, con un sorriso tutto denti di cane, si nascondeva dietro una serie di ‘che ne so’” (qui ci stanno anche le virgolette en abyme).
Se è il momento di salutare, un “ciao” non può che evolversi in “andarsene era scritto perciò ciao ciao, bella ragazza che non m’hai capito mai“.
Se c’è da dare ragione è obbligatorio chiosare “è giusto quel che dici ma i tuoi calci fanno male“.
Ma quel che in fondo in fondo aspetto è che qualcuno se ne esca con un “è una sera” per completare, com’è giusto, “che il fiore mi pesa e le stelle trattengono i loro segreti più freddamente che mai, guardo le mi povere cose, una foto di Angela Davis muore lentamente sul muro, e a me di lei non me n’è fregato niente mai…”