E io che pensavo l’imbarbarimento accentuativo fosse cosa degli ultimi anni: mi ritrovo a leggere un precario (di impaginazione) volume Garzanti del 1966 (La nuvola nera di Fred Hoyle, tradotto da Bianciardi – uno di quei lavoracci di traduzione stigmatizzati ne La vita agra, insomma), e tutti i perché, sé, né, portano il famigerato accentro grave.
D’altra parte, amo Bollati Boringhieri: ho appena letto Topsy, e i sé stessa/e/i/o tengono il loro ormai semiestinto accento, che invece mi piace, un po’ anacronisticamente, recuperare dall’oblio cui l’hanno condannato le semplificatorie scelte redazionali di quasi tutti gli altri editori.