Mi ritrovai in piedi davanti ad acri di terreno coltivato. Un reticolato mi impediva di entrare nel campo, dove correvano due strisce di filo spinato, e mi accorsi che quella rete e un gruppetto di tre o quattro alberi di fronte a me erano le uniche cose a interrompere la corsa del vento fin dove l’occhio spaziava. Lungo tutto il reticolato, e in particolare in basso vicino al terreno, erano rimasti impigliati e intrappolati ogni genere di rifiuti. Erano simili ai detriti che si trovano sulla spiaggia: il vento doveva averli trasportati per miglia e miglia, prima di incontrare finalmente quegli alberi e quelle due strisce di filo spinato. Anche sulle fronde si scorgevano svolazzare lacerti di fogli di plastica e resti di vecchi sacchetti. Fu quella l’unica volta, mentre stavo lì in piedi a osservare quegli strani rifiuti, sentendo il rumore del vento che attraversava quei campi vuoti, che mi feci trasportare da quella piccola fantasia; perché dopotutto mi trovavo nel Norfolk, ed erano passare soltanto due settimane da quando avevo perso Tommy. Pensavo ai rifiuti, alla plastica che sventolava tra i rami, alla linea di strane cose intrappolate lungo il reticolato, e allora chiusi quasi gli occhi e immaginai che quello fosse il punto dove tutto ciò che avevo perduto dagli anni dell’infanzia era stato gettato a riva; adesso mi trovavo lì, e se avessi aspettato abbastanza, una minuscola figura sarebbe apparsa all’orizzonte in fondo al campo, e a poco a poco sarebbe diventata più grande, finché non mi fossi resa conto che era Tommy, e lui mi avrebbe fatto un cenno di saluto con la mano, forse mi avrebbe chiamata.