Ok, pausa. È il momento, l’avevo preannunciato, inutile girarci attorno. Dico il discorso sulla mia vera identità. Il mio nome. È. Non ridete. Coscienza.
Immaginate cosa vuol dire portarsi addosso, da bambina, un nome di questo peso, per giunta insieme agli occhiali, all’apparecchio dei denti e a una fronte smisuratamente alta. Mio padre, che non era illuminista e prefemminista come mia madre, prima di lasciarla fece in tempo a convertire gradualmente il mio nome in un più prosaico e pacifico Enza, ma mia madre riuscì a spolverare la mia coscienza infelice chiamandomi sempre per intero, e con quella sua tipica cadenza prolungata, specialmente al centro delle parole, che rendeva il nome infinito e minaccioso. Coscieeeeeenza!
Be’, almeno non erano ancora di moda, quando nacqui, la Consapevolezza e l’Energia. Sarei diventata Consa, Lezza? O Gia?