Lo so, non sta bene sparare sulla Croce Rossa – nello specifico la famiglia Morandini – però, quando è troppo è troppo.
Che poi, tra le tante perle che Los Morandinis ci regalano nel loro eponimo Dizionario e nella rubrica dei film in tv su Tele Sette, questo è in fondo un peccato veniale, solo l’ennesima riproposizione di un vieto luogo comune.
Ma visto che sono gli ultimi a cascarci, prendiamoli a esempio, visto che ogni volta che sento questo assioma, nelle sue limitate variazioni, esco pazzo.
Insomma: la formulazione qui presente, nella schedina di Blade II, è:
Una volta tanto un seguito che non sfigura accanto all’originale.
Ora, io vorrei sapere: quali sarebbero invece, esattamente, questi famosi primi capitoli migliori dei secondi, visto che a me pare proprio il contrario, che l’eccezione alla regola sia quella dei prototipi migliori dei sequel, ché nella stragrande maggioranza dei casi i n.2 surclassano i n.1 della serie.
Parliamo qui, per lo più, della Hollywood in cui la politica dei sequel è ormai dominante. Una volta, quando si lavorava sui prototipi e i seguiti erano degli accidenti che a volte giungevano diversi anni dopo (vedi, che so, American Graffiti), il discorso poteva essere diverso, ma da quando la narrazione articolata in più capitoli è diventata la norma, tutto è cambiato.
Questo per due ragioni, una narrativa, l’altra commerciale:
a) Il capitolo introduttivo deve necessariamente “perdere tempo” nella presentazione di personaggi e ambienti, vedendo così limitate le sue possibilità di racconto, laddove nel seguito, già familiarizzato il pubblico col contesto, si ha maggiore libertà di manovra;
b) perché si abbia la stessa possibilità di una serie, il film 1 deve avere successo, e gli autori di solito decidono di autolimitarsi, puntando su formule sicure, mentre nel 2 – forti del credito commerciale acquisito – possono (se ne hanno voglia e possibilità) scrollarsi via le costrizioni della formula e prendersi rischi inediti.
L’elenco dei titoli in cui questo meccanismo si attua mi pare significativo. Nello specifico, visto che si parla di pellicole fumettistiche-supereroiche, l’evidenza è schiacciante, da Batman a Batman Returns, da X-Men a X-Men 2, da Spider-man a Spider-man 2, da Hellboy a Hellboy – The Golden Army. Lo stesso Joss Whedon ha di recente dichiarato che The Avengers 2 dovrebbe essere un affare più personale del pur divertentissimo prototipo. Tornando indietro, se vogliamo il Superman di Lester è assai più brillante di quello donneriano. Certo, Il padrino è un monumento, ma Il padrino 2 scava molto più in profondità nel cuore oscuro della famiglia e dell’America. Oppure: Die Harder non è confrontabile certo con Die Hard, ma se consideriamo come vero n.2 il ritorno di McTiernan sul luogo del delitto, allora appare chiaro che Die Hard with a Vengeance è il vero capolavoro del lotto. Per serie come Star Wars, tendo a ragionare in termini di blocco unico (non parlo di Lord of the Rings/Hobbit, che sono “un” film diviso in più parti), eppure anche lì, la nostra regola regge. E se risaliamo agli anni 80, è vero, Gremlins o Back to the Future rimangono i classici, ma i rispettivi sequel sono espansioni tendenti allo sperimentale di sommo interesse.
Vero è che ci sono casi che sembrerebbero tornare alla prevalenza qualitativa del prototipo (nell’horror, ad esempio), ma in generale la predominanza del sequel è una regola cinefila piuttosto sicura, non trovate?
Una parola sola: Matrix.
E non sono d’accordo neppure su star wars, sia per quanto riguarda il primo (fantastico) ciclo sia il secondo (bruciabile).
Vabeh, Matrix, tra l’uno e gli altri… Sì, ok, forse l’1 è un po’ meglio, ma se ne può fare comodamente a meno. Comunque, prendiamo Star Wars (le cui varie parti in ogni caso considero diverse componenti della stessa architettura): A New Hope è sicuramente perfetto, eppure Empire Strikes back è più complesso e maturo. Per la seconda trilogia, che difenderò a spada tratta contro tutto e tutti, posso riconoscere che The Phantom Menace è un tassello più leggerino (ma si tratta pur sempre della storia di un bambino), laddove Attack of the Clones è qualcosa di straordinario (e ha tutti i chiaroscuri dell’adolescenza).
Eretico anabattista! 😉
E me ne vanto.
Poi ci sarebbe anche il discorso dei sequel di altra mano, che nel caso di approcci eminentemente autoriali complessifica il discorso. Per esempio una volta (duole dirlo) mi piaceva per niente L’esorcista di Friedkin, lo trovavo piatto e non rispondente alle attese generate dal romanzo di Blatty. Ero piccolo, abbiate pazienza. Mentre adorava il 2 di Boorman, con la sua quasi incontrollata ma fantastica esplosività visionaria. Crescendo ho rimesso in giusta prospettiva Friedkin, ma continuo ad ammirare il coraggio boormaniano.
Ah, se andiamo, putacaso, a Hong Kong, troviamo altre frecce per la nostra faretra: Once Upon a Time in China 1 e 2, A Better Tomorrow 1 e 2 (anche se lì il capolavoro è il 3 di Tsui Hark), Project A 1 e 2, In the Mood for Love e 2046 (qui qualcuno si inalbererà, ma tant’è)…