I trasferimenti vocali del dialogato, con accentuazione di scoppi interiettivi, mi segnalarono invece una masnada di rusticoni. Eguali dovevano erompere dai petti villosi degli avi i fonismi di che s’accompagnò l’inizio della biologia umana, quando le selve del pleistocène rendevano impensabile un esercizio ferroviario a largo traffico. Nelle profonde pause del vento la mormorazione religiosa delle abetaie si attenuava e come perdeva in sussurri lontani, il sinfoniale era introduzione solenne alla virtù dell’a solo: così fu che i grilli, in sul primo gelo dell’alba, udirono stupefatti il bisnonno di Calibano, allora in preda agli umori di giovinezza, e gutturare apostrofi monosillabiche contro i maschi concorrenti. Tutta notte aveva grugnito la sua serenata. (Appiattendosi dietro un grosso larice).
Il vento s’era restato. Così fu che gli uomini fecero le prime lor prove, i cari uomini, i diletti amici nostri, quelli che saranno di poi per provarsi nell’agorà, nel foro, nell’arengo: alla Pallacorda, a Montecitorio, al Congresso e dovunque debbasi guidar con voce i cavalli, o loro stessi, in terra lombarda o non lombarda, di festa, di sabato, nel fasto del Cinema, nell’imbratto delle carraie.
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Camminavo e camminavo, la notte stellata era l’immagine d’una convergenza strana, come una cascata d’esseri momentanei, fiori effimeri, verso mondi di momenti futuri. Pallidi esseri, trovata provvisoria della eternità. Ognuno era un punto luminoso nella oscurità della notte e soltanto sarà stato una luce se avrà serbato per sé onore e dovere: se questo non avrà serbato, vana era la sua opera e la millenaria malizia, il suo mangiare, prima ancora che lo riavesse la tenebra, era come il mangiare dei vermi dentro la morte.
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Giocatori di scacchi, impietrati, meditavano gambitti nel buio sottoterra: su bassi scranni: parevano dei mandrilli di porfido nella tenebra del museo egizio: quasi un pensiero delle tenebre.
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La morte gli apparve, a Don Ciccio, una decomposizione estrema dei possibili, uno sfasarsi di idee interdipendenti armonizzate già nella persona.
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Il crepitìo infinito della terra pareva consustanziale alla luce; e là discendeva la costa assai verde, e là dopo il breve ozio dei laghi erano altri colli dentro la luce, ed ancora, ancora. L’occhio abbagliato voleva inseguirvi una nuova favola, tenue, dolcissima, tra scene lontane, nell’inganno delle prospettive di fuga, aggirando come per un furto d’amore il cilestro di quei bacini livellati.