Nel bosco era ancora notte e c’era la stessa tranquillità del sonno. Il bisbiglio del vento non osava arrivare fin lì e gli alberi tacevano.
Anche le pecore tacevano impressionate. Alberi! Le pecore erano un po’ sorprese. Così tanti! Fino a quel momento avevano conosciuto gli alberi solamente come esseri solitari, inoffensivi dispensatori di ombre, ai quali era possibile rosicchiare impunemente la corteccia e strofinarsi finché quel punto del tronco fosse diventato talmente liscio e lucido da non offrire più un sollievo soddisfacente.
Ma lì, all’improvviso, era pieno di alberi, tronco a tronco, un enorme gregge talmente fitto che le pecore non potevano avanzare nella loro formazione preferita, e cioè tutte insieme, bensì soltanto in fila per due, per tre o singolarmente. La cosa non era di loro gradimento. Dietro ogni tronco poteva esserci qualcosa in agguato e le pecore avevano la spiacevole sennsazione che gli stessi alberi facessero loro la posta, simili a gatti molto pazienti con topi molto cauti. Sebbene le pecore avanzassero con molta prudenza, titubanti e lente, i loro cuori correvano al galoppo. Sentivano la mancanza del cielo.