Ho scritto questto raccontino (che vorrei riproporvi su queste pagine) per un contest con tema l’insonnia.
Ragno Guardiano
La Gatta sta male. L’ho portata dal veterinario, che le ha iniettato un antibiotico, e poi mi ha guardato. Scuote la testa e dice, se passa la notte.
Notte.
Sono stesa sul letto, col mal di pancia che non dà tregua, e lei che sonnecchia accanto a me. Tracce di sangue sul cuscino. Sangue fra le mie gambe. Russa leggermente. Mai sentito un gatto che russa? Lei di solito non lo fa.
Apre gli occhi, mi guarda, li richiude.
Vuoi dirmi qualcosa?
Ho sonno.
Guardo il telefono. Mezzanotte meno un quarto. Mi fa strano. Di solito sto in piedi fino all’una, alle due. Oggi ho sonno. La Gatta respira piano al mio fianco. Una zampina stesa molle sul cuscino, la cannula della flebo ancora in vena. Così molle, così prostrata, povera gatta mia.
Chiudo gli occhi. Dormo. C’è qualcuno. Il veterinario? Chiamami a qualsiasi ora, se vedi che. Se senti che se ne sta andando.
Te ne stai andando? Te ne vuoi andare?
La Gatta solleva una palpebra. Scusa. Non volevo disturbarti.
Provo a leggere, ma le parole si confondono. Si accavallano. Si oscurano, cambiano, cosa significa… Cosa vuol dire quella frase, lungo le sponde del fiume, quale fiume? Mi passo una mano sugli occhi. Mi fa male la pancia. Dovrei prendere qualcosa, una pasticca, una camomilla, ma non posso, non so cosa potrei trovare là fuori, non posso uscire da questa stanza.
Mi alzo, esco nell’ignoto, entro in cucina. Tazza piena nel microonde, una bustina di camomilla solubile, girare, niente zucchero grazie. Bevo e torno a letto. Lei non c’è più.
Apro gli occhi.
La Gatta sonnecchia su tracce sbiadite di sangue.
Chiudo gli occhi.
Qualcuno. C’è qualcuno?
Osservo fra le ciglia. La luce rossastra della lampadina. Si muove.
Chi è? Chi sei? Chi mi fa visita appena chiudo gli occhi?
Sei il guardiano?
Il ragno guardiano, venuto a portarmi via?
Quando ero piccola c’era un grosso ragno che faceva la guardia alla cantina. Mandavano sempre me, in cantina. Vai a prendere una bottiglia in cantina, su. Non far storie.
Il ragno guardiano mi guardava, dal suo scranno pazientemente filato, tra lo stipite della porta e i ripiani degli scaffali allungava i suoi palpi. L’ho scoperto solo anni dopo, che era un maschio. Palpi lunghi. Passavo sotto il suo sguardo con un brivido. Non avevo paura.
Apro gli occhi. Nessuno. La luce fioca della lampada – bell’affare ho fatto, comprare questa lampada di design, è bella solo da spenta. Evoca troppi fantasmi. Troppe ombre. La spengo.
Un sospiro leggero, tremulo, al mio fianco.
La Gatta russa.
Almeno lei.
Strisciare. Sento qualcosa. Sei tu? Ce ne hai messo di tempo, ad arrivare. Ti aspetto da tanti di quegli anni. Un refolo sulla pelle. Sei passato dalla finestra. L’avevo chiusa, ne sono sicura. Mentre la Gatta lappava un po’ d’acqua, stesa in terra. Così debole. Chiudi le persiane e i vetri. Non farle prendere freddo.
Forse l’ho solo sognato. Avevo fretta di prendere una pasticca, perché la pancia non mi dava tregua, delle fitte così non mi sono mai capitate, lei non vuole mangiare, la prendo, la metto sul letto, fra i cuscini, nessun uomo mi farà visita oggi, e lei starà bene, STARÀ BENE.
Accendo la luce. Nessun Ragno. La finestra è chiusa. Si soffoca. Si suda. Potrei andare in bagno. Il bagno è più vicino della cucina. Mi alzo, piano. La guardo un istante, continua a dormire. Il pavimento gelato sotto le piante dei piedi. Il sudore fra le scapole. Il bagno in penombra, un brivido lungo la schiena, mi piace, quasi come la prima volta, le sue mani su di me, quelle lunghe dita scure pelose, quelle otto zampe…
Svegliati, donna. Sei in bagno. Apri l’armadietto. Chiuso a chiave. A che serve, dannazione. Se ci sono dei bambini, fa il rivenditore. Io non ho bambini. Ho una gatta. E la gatta sta male. No, io sto male.
Prendo una pasticca e la mando giù. Torno a letto quasi correndo. La trovo in un lago di sangue. Ansima. Mi guarda. Una domanda negli occhi. Perché.
Apro gli occhi. La pancia fa ancora male. La Gatta dorme.
Devo alzarmi. Non posso proprio più aspettare, rischierei di sporcare le lenzuola. Sono già sporche. Il sangue della Gatta mescolato al tuo. Non potevi aspettare? Non potevi aspettare un giorno?
Mi alzo, il freddo sotto i piedi, un brivido piacevole fra le scapole, la pancia che mi dà tregua. Mi lavo e mi cambio. Quando torno a letto lei dorme ancora.
Il display dice l’una e mezza. Non può essere. Sono sveglia da ore. Devo dormire, ho tanto sonno. Ma lui ha detto di chiamarlo. Prendo il telefono.
Aspetta. Solo se la Gatta peggiora. La guardo.
Pensa a quando ti ho trovato, Gatta. Eri per strada, vicino a un tunnel. Le automobili ti sfrecciavano accanto. Mi sono fermata, da dietro hanno suonato. E muoviti, stronza!
Sono scesa al volo, ti ho raccolta.
La Gatta sospira nel sonno. Io sospiro. Mi volto per spegnere la luce, e lo vedo.
Il Ragno guardiano. Che mi osserva, a fianco dell’armadio.
Ciao ciao, Ragno.
Ci sei, allora.
Cosa succederà, mi porterai via? Sei arrivato troppo tardi, ti aspettavo anni fa, ora devo vegliare sulla mia gatta, deve passare la notte, non posso perderla.
Gatta, tienimi con te.
Lei solleva la testa e soffia al Ragno. Lui si ritrae, ma poco.
Ti prego.
Lasciami stare.
Muove le zampine. Si solleva. La cannula perde una gocciolina di sangue. Soffia di nuovo, e dal sorriso pieno di zanne esce una nuvola di vapore, di caldo fiato, di mare e di latte.
Il Ragno si ritrae di più.
Apro gli occhi.
Guardo il telefonino. Le due. Lei dorme.
Mal di pancia.
atroce. nel senso che mi mangia lo stomaco e devo sforzarmi per non piangere.
clap.
Grazie.